Il racconto della domenica: Rivelazioni sul pittore magico di Marco Corvaia
1.
Dopo ore di viaggio in treno raggiungo un minuscolo paesino mai sentito nominare, con il bagaglio sulle spalle percorro a piedi sentieri nascosti dalla vegetazione e arrivo a una modesta casa di campagna. Il pittore magico vive isolato, con la sola compagnia di pecore, maiali, asini, galline, cani e gatti; è stato soprannominato così per la particolarità delle sue opere e la segretezza della sua tecnica pittorica. Ha bisogno di un aiutante, e il mio docente di Pittura, suo caro amico, gli ha parlato di me e dei miei lavori. Mi accoglie con un gran sorriso, in un’armonia alla quale non sono abituato.
Ho terminato il corso di studi in Accademia da qualche mese, non riesco a credere che abbia accettato di incontrarmi: è l’artista contemporaneo che apprezzo di più. Questa è un’opportunità eccezionale per la mia carriera, diventare suo assistente sarebbe un’immensa esperienza formativa, sono così euforico che mi sento un idiota.
Sono qui da un mese, lavoro nel suo orto, mi godo la natura, conversiamo di qualsiasi argomento, ma neppure un accenno sull’incarico che desidero ottenere. E non c’è traccia dei suoi veri strumenti di lavoro: cavalletti, tele, pennelli, colori; neanche una macchia di vernice su un indumento. Ho l’impressione di avere a che fare con un contadino trasandato e gentile, tranne quando diventa più incalzante del solito con le domande personali e mi ritrovo a confidargli dettagli della mia infanzia violenta, allora siamo più psicologo e paziente. A volte dimentico persino cosa ci sono venuto a fare, ma sono a mio agio.
A una decina di metri dalla sua abitazione c’è una stalla in cui non sono mai entrato, lui si comporta come se non ci fosse.
«Lì ci sono i cavalli? Oppure è vuota?» indicandola con una carota estratta dal terreno.
«No, quello è il mio studio.»
«Oh, sarebbe un onore poterlo vedere.»
«Intanto aiutami a raccogliere le carote, per favore» asciugandosi il sudore dalla fronte, cordiale come sempre.
Il discorso si è perso nelle attività agricole. A cena mi fa parlare di mio padre, picchiava me e mia madre, come fanno quegli uomini frustrati che devono sfogare la propria rabbia sui più deboli; sono contento che sia morto in quell’incidente stradale, non ci avrebbe mai lasciato in pace.
Ormai ho rinunciato all’ipotesi che mi mostri lo spazio in cui crea; sono nella mia stanza, leggo un romanzo e sto per addormentarmi, quando bussa alla porta.
«Vieni con me.»
Si è rasato barba e capelli; ora ha l’aspetto che conoscevo di lui. Usciamo di casa, seguo il fascio di luce della torcia con cui illumina il percorso, senza dire niente. Si ferma davanti all’ingresso della stalla, sta per aprirla, si volta e mi poggia una mano sulla spalla.
«Tu sei una brava persona.»
Alzo lo sguardo; il cielo è meraviglioso, mai viste tante stelle. Poi entro, trepidante, nello scrigno delle sue opere più recenti. Dipinti realizzati su svariati materiali, nel suo stile, tanti da non riuscire a contarli: porte, tavoli, divani, tappeti, materassi, lastre di marmo, di plexiglas, di alluminio e altro ancora. Sono in una galleria d’arte.
«Se accetterai il ruolo di mio assistente dovrai aiutarmi a confezionarli. Devono essere spediti a Eindhoven per una mostra.»
«Se accetterò? Non potrei sperare di meglio, sarebbe un vero privilegio per me.»
Distende una coperta per terra, la circonda con delle candele e le accende. Poi toglie le scarpe, si posiziona al centro della coperta e mi guarda fisso. È una proposta sessuale, un rito satanico, o cosa? I dubbi mi spolpano il cervello.
«Il mio avvocato ha redatto un documento, è un patto di segretezza che dovrai firmare. Ma questi sono argomenti legali di cui m’importa poco. Devo avere la certezza che tu mi capisca, ho bisogno di fidarmi di te. Sto per svelarti qualcosa che nessuno sa, che nessun altro deve sapere: la tecnica della mia creatività.»
Mi si mozza il respiro. Cosa so di lui? Che le sue creazioni artistiche non risultano pitturate, sono oggetti che sembrano costruiti con quelle tinte composite, impossibili però da realizzare con apparecchi di colorazione artigianali o industriali. Che ogni sua opera è astratta, intitolata con una sola parola, ma che osservandola con attenzione vedi delle immagini figurative che ne rappresentano il significato, differenti per ogni persona. In Prepotenza, una schiera di mattoni a cotto intrisi di colori, ho visto l’espressione di mio padre quando era crudele; una mia collega invece ha visto il ragazzino che la tormentava alle elementari.
Devo farmi coraggio. Mi avvicino di qualche passo e attendo. Sono pronto, non ho bisogno di dirlo, lo capisce.
«Ho avuto un’infanzia piacevole, ero appassionato d’arte e amavo disegnare. Ma sono diventato un pittore mediocre. Questo mi ha reso talmente infelice che ho sabotato la mia relazione con una ragazza che amavo quanto la pittura. Ne ho sofferto molto, ma la mia svolta è cominciata con quel dolore» e si siede sulla coperta; io invece per terra. «Ho sempre avuto un sonno sereno, non ricordavo i sogni che facevo, ma dopo la nostra separazione ho avuto un incubo: i miei quadri la divoravano. Al risveglio il mio cuscino sembrava dipinto, come parte dei miei capelli.»
«Sei sonnambulo?»
«No, ti mostrerò quello che accade quando ho sogni agitati.»
«Come fai a sapere che farai dei brutti sogni?»
«La storia sulle cattiverie di tuo padre mi ha addolorato. Ora sono stanco, aspetta e vedrai» e si distende.
Che situazione assurda, sono nel capannone del mio pittore preferito e lo guardo dormire su una coperta di lana blu, a lume di candela, perché solo così può farmi vedere come dipinge. Forse è pazzo, e io sono davvero un idiota.
È passata un’ora, fatico a tenere gli occhi aperti; mi sono svegliato all’alba, ho sgobbato in campagna tutto il giorno e osservare una persona che dorme è l’ultima cosa che vorrei fare. Scruto il suo cranio chiedendomi perché ha voluto torturarmi, quando mi rendo conto che il tessuto della coperta sta cambiando colore, attorno al punto su cui poggia, come fosse contaminato da qualcosa che lo muta. Quel semplice blu diviene altro, l’alterazione si espande sull’intera superficie in molteplici tonalità, con l’equilibrio e il criterio armonico tipico delle sue creazioni astratte. È realmente magico.
Si sveglia appena sorge il sole, come tutte le mattine. Appende la coperta a una parete e la osserviamo a lungo, in silenzio. Quell’opera ha un’atmosfera cupa dalla notevole forza espressiva.
Fissandola vedo me stesso bambino, consolo mia madre dopo l’ennesimo pestaggio che ha subito.
«È tua.»
«Me la regali?»
«Certo, è un frammento del tuo passato, ti appartiene.»
«Per questo non gli hai dato un titolo…»
«Avrei potuto mostrarti uno dei filmati che ho fatto per capire cosa mi succede mentre dormo, ma dovevi vederlo con i tuoi occhi. E dovevi vederti nel dipinto.»
«Perché io?»
«Ho un progetto ambizioso. Viaggerò molto nei prossimi anni, voglio immergermi nelle grandi problematiche globali, per creare opere che risveglino le coscienze. Sto cercando un alleato che mi aiuti a mantenere il mio segreto, altrimenti tutto avrà fine. Tu non hai legami affettivi, parli diverse lingue, scrivi bene, la tua sensibilità ti permette di comprendere il senso del mio percorso e come ho detto… sei una brava persona.»
«Non tradirò la fiducia che mi stai concedendo.»
«Lo so.»
«Ma perché è importante che ci sappia fare con le parole? E come lo sai?»
«Ho letto i racconti che ti hanno pubblicato sulle riviste letterarie. Mi sono piaciuti. Scoprirai l’utilità di questa dote quando arriverà il momento di usarla.»
2.
Siamo dei nomadi, visitiamo anche i luoghi più sperduti, ovunque senta la necessità di offrire il suo contributo per spegnere i fuochi della crudeltà, con il solo scopo di aiutare i popoli a ragionare su se stessi. Tanti gli orrori che incontriamo, quante le creazioni che dona, sempre più imponenti e rischiose. Ha dipinto su foreste, muraglie, fortezze, piantagioni, armamentari, territori devastati dalle bombe, villaggi infestati dalle malattie, zone sotto il controllo di spietati criminali.
I poteri forti lo attaccano tramite la stampa: lo accusano di sfruttare il dolore altrui, di protagonismo e altre falsità. Il suo nome ormai è scomodo, ma si è affermato come uno degli artisti più celebri e influenti del mondo. E più cresce la sua fama, più aumenta il suo impegno a raccontare ingiustizie e sofferenza. Negli anni l’ho visto indebolirsi, non a causa di quelle illazioni, la sua mente risente di ogni sogno pittorico, a dieci anni dalla nostra prima meta ha la vista e la memoria gravemente compromesse.
Siamo tornati nella sua campagna da un paio di giorni, ci riusciamo una volta l’anno; ormai se ne occupano degli impiegati, che chiama tutti per nome e tratta come amici. Abbiamo appena finito di cenare, è una serata mite, ma lui ha il volto contrito.
«Amico mio, sei cresciuto e hai imparato molto, non puoi più vivere nella mia ombra. È tempo che tu inizi il tuo cammino.»
Nel nostro ultimo viaggio siamo stati in una zona di guerra, dove ha sognato su un edificio di oltre dieci metri, ne parlano tutte le testate giornalistiche. Un’esperienza che mi ha scosso, abbiamo assistito ad autentiche atrocità, ma la sua intenzione di fare a meno di me mi destabilizza ancora di più. Non me l’aspettavo, non so cosa dire.
«Ormai non dipingi e non scrivi più quelle belle storie. Io sono una palla di fuoco, sto bruciando il tuo istinto creativo.»
«Chi ti aiuterà?»
«Non preoccuparti di questo, pensa a te stesso. Non posso chiederti altro tempo e altra energia» e mi porge una busta.
«Cos’è questa?»
«Il tuo ultimo compito, in nome di quello che abbiamo vissuto insieme. Dovrai aprirla solo quando non ci sarò più.»
«Quando non ci sarai più?»
«Niente paura, non accadrà per un bel pezzo.»
Afferro la busta, al tatto capisco che contiene una lettera. Ho gli occhi lucidi, lo guardo attraverso le lacrime che non vogliono scendere giù. Ha ragione, è giusto così.
3.
Ogni suono è assordante, non sento più la voce che mi parla al telefono, gli oggetti attorno al mio letto si scompongono, ogni odore nella stanza è amplificato, in bocca ho un miscuglio di sapori che mi nauseano. Forse sto ancora dormendo, forse è un incubo.
No, al mattino la notizia è di dominio pubblico: il pittore più misterioso del mondo è morto.
Tutti parlano della sua vita, della sua arte e della sua inspiegabile dipartita. Immagino già che gli enigmi irrisolti sulla sua esistenza ne alimenteranno il mito e che le sue produzioni verranno battute all’asta a cifre astronomiche, persino chi ne ha infangato i propositi vorrà possederle; un politico corrotto che espone Ipocrisia nel suo salone, un dittatore sanguinario che sfoggia Indifferenza nel suo palazzo, il capo di una corporazione priva di etica che esibisce Disonestà nella sua villa.
Gli unici che sanno la verità siamo io e la persona che mi ha telefonato ieri notte: il suo nuovo assistente. Ripenso alle poche parole che sono riuscito a sentire, prima che tutto precipitasse nel caos emotivo dell’afflizione.
«Si sentiva come una fiammella smorzata dal vento, è l’ultima cosa che ha detto prima di addormentarsi. Credo sapesse che non si sarebbe risvegliato. Non ha potuto dare un titolo all’opera.»
«Dove siete?»
«Nella casa che è stata dei suoi genitori. Ha dipinto tutto il pavimento, tutte le pareti, tutti i vecchi mobili e il soffitto. Devi vederla, è l’apice della sua arte.»
«Nell’ultimo periodo parlava spesso di quanto gli mancassero. Credo s’intitoli Malinconia» gli ho detto.
Apro la busta che mi ha consegnato congedandomi, appena un anno fa. Nella lettera c’è scritto: “Racconta tutta la storia, rivela il mio segreto, soltanto tu puoi farlo, amico mio”. Firmata e vidimata da un notaio.
Marco Corvaia