Le donne di Dante di Marco Santagata: tre storie al femminile in occasione del Dantedì 2021
Il 25 marzo, dall’anno scorso, è diventato ufficialmente il Dantedì: una giornata intera dedicata al ricordo di Dante Alighieri e della sua straordinaria inventiva. Quest’anno, l’anniversario si fa ancora più importante: nel 2021 ricorre, infatti, anche il settecentenario dalla morte del Sommo Poeta.
Le donne di Dante di Marco Santagata: 200 illustrazioni che incorniciano un universo femminile
È sempre difficile accostarsi alle grandi figure della letteratura, soprattutto quando si è stati obbligati a leggerle e studiarle a scuola per ben tre anni. Eppure, Dante sembra conquistare proprio tutti, ancor di più quando a raccontarlo sono dei maestri della divulgazione.
Marco Santagata, che ci ha lasciati qualche mese fa, è sicuramente tra questi. Tra gli ambienti accademici era conosciuto come uno dei più grandi italianisti degli ultimi anni, soprattutto grazie ai suoi studi su Dante e Petrarca. Ma Santagata era anche uno scrittore, e il suo Come donna innamorata, che romanzava la storia di Dante e il suo incontro con Beatrice, era arrivato in finale al Premio Strega nel 2015. Lui stesso amava definirsi un narratore – e forse, se c’è una caratteristica che rende il suo timbro diverso dagli altri, è proprio questa capacità di raccontare le Grandi Storie con voce appassionante e appassionata, senza mai scadere nella superficialità. Così è anche nel suo ultimo libro, pubblicato a inizio anno da Il Mulino. Si intitola Le donne di Dante, un’opera preziosa come poche, non solo perché rappresenta l’ultimo viaggio letterario di un grande intellettuale, ma anche e soprattutto per la cura che è stata riservata al volume.
Di queste quattrocento pagine, infatti, la metà è riservata a oltre duecento illustrazioni, tra quadri di autori famosi (come Delacroix, Ingres, Raffaello, Dalì, Botticelli) e sculture, spezzoni cinematografici e scorci delle città che Dante ha visitato. Questo universo visivo fa da cornice a un altro universo: quello delle donne che hanno avuto a che fare, in un modo o nell’altro, con l’autore fiorentino. Il percorso lungo il quale ci guida la voce di Santagata attraversa la famiglia di Dante (con la madre Bella, la figlia Antonia, la moglie Gemma e molte altre) per arrivare alle figure femminili che fanno capolino tra le pagine delle sue opere (Beatrice, ovviamente, ma anche la donna petrosa, Francesca da Rimini, Pia dei Tolomei, Cunizza: un elenco infinito). È un percorso che non si limita a illuminare la vita e l’importanza di queste donne, ma abbraccia tutta la vita e l’opera dantesca: le peregrinazioni infinite, gli scontri politici, la scrittura e le riscritture. Le donne di Dante è un viaggio affascinante, per chi ama Dante ma anche per chi, semplicemente, ha fame di storie. Noi ve ne raccontiamo tre: quella della figlia Antonia, quella di Beatrice e quella della misteriosissima Pia. A voi scoprire le altre.
Le donne di Dante: ve le raccontiamo in occasione del Dantedì 2021
Antonia Alighieri
La figura di Antonia è sempre rimasta nell’ombra rispetto a quella di Iacopo e Pietro, i figli più grandi di Dante a cui sono dovuti i primi studi sulla Commedia. Eppure, per quel poco che sappiamo di Antonia, la sua figura riesce a essere carica di fascino e mistero. Sono pochissimi i documenti in cui compare, e il più importante è sicuramente quello in cui si fa accenno a un dono che venne consegnato da Boccaccio alla figliuola che fu di Dante Alighieri. Probabilmente si trattò di un risarcimento per i danni che Firenze aveva inflitto alla famiglia di Dante, ma il particolare più curioso è legato al modo in cui Antonia viene definita: “suor Beatrice, monaca del monastero di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna”. In altre parole, la figlia di Dante aveva scelto, diventando monaca, il nome della musa del padre. Come nota Santagata, “impossibile non leggere nella scelta di questo nome un omaggio al padre e un attestato di affetto”. È strano, per noi lettori del 2021, immaginarci Dante nelle vesti di padre: e sicuramente questo è dovuto non solo alla grandezza dell’autore, ma anche al fatto che gli anni che egli poté trascorrere con la sua famiglia furono relativamente pochi a causa dell’esilio. Eppure, Dante dovette essere, in un qualche modo, un padre ammirato, “che è riuscito a farsi amare e, pur fra innumerevoli traversie, a far sì che tra i suoi cari si conservasse il senso della famiglia”.
Beatrice (o Bice Portinari)
Su Beatrice si è scritto quasi quanto sul suo cantore, Dante, e per questa ragione la storia che vogliamo raccontarvi non riguarderà direttamente lei e la sua funzione di musa, quanto più una curiosità che, da ragazzi, avrà probabilmente ossessionato tutti: ma Dante, l’amava davvero Beatrice? E come poteva tesserne le lodi così apertamente senza dare peso al fatto che entrambi erano sposati con altre persone? Il nodo di quest’ultima questione, in realtà, è molto semplice: nel Medioevo i matrimoni non erano pensati come vincoli d’affetto, ma come contratti. Gemma e Dante erano stati promessi quando lui aveva soltanto dodici anni, per ragioni di tipo politico e, in parte, economico; lo stesso era avvenuto tra Beatrice e Simone dei Bardi, dato che questi proveniva da una famiglia illustre. Per questo motivo, era quasi naturale che l’amore fosse ricercato al di fuori del vincolo matrimoniale, e tra i poeti era habitus comune lodare una donna altra: basti pensare a Guido Cavalcanti con monna Giovanna o a Cino da Pistoia con Selvaggia. Più scandaloso era, invece, celebrare la propria donna nelle poesie: “la poesia amorosa medievale, infatti, è sempre poesia adulterina”, ricorda Santagata. L’amore cantato per Beatrice, allora, è assolutamente canonico, e questo è ciò che spinge la maggior parte dei critici a credere che in realtà non ci fosse nessun reale sentimento dietro a questo rapporto poetico. Beatrice, del resto, non viene mai descritta come corpo (a differenza di ciò che avviene per la Laura petrarchesca): è un simbolo, un miracolo, che trova nel suo nome (etimologicamente, colei che rende beati) un elemento iconico di grande forza. La prima domanda, quindi, è destinata a rimanere senza risposta: “qualche labilissimo indizio suggerisce che a volte un reale coinvolgimento sentimentale possa soggiacere all’invenzione letteraria, ma resta assodato che il gioco letterario fa aggio su qualsiasi eventuale implicazione biografica”. Ma forse è proprio il mistero a rendere tutto ancora più affascinante.
Pia (dei Tolomei?)
Le parentesi che accompagnano il titolo di quest’ultimo racconto servono a segnalare che attorno all’identificazione di Pia, uno dei personaggi che affollano il Purgatorio, non c’è ancora accordo. Una lunga tradizione ha creduto che si trattasse di Pia dei Tolomei, ma in realtà, al momento, questa è una delle interpretazioni meno accreditate. La nebbia attorno a questa donna, quindi, è fitta, e lo è anche all’interno del canto in cui Dante ne parla, il V, dove si fa accenno, soltanto rapidamente, a un uxoricidio. La storia è intrigante ma tragica: secondo alcune ricostruzioni, l’omicida sarebbe stato Nello dei Pannoccieschi, signore di un castello maremmano (effettivamente, nel suo breve discorso, Pia fa proprio riferimento a questo luogo). Il movente, invece, non è chiaro. Qualcuno crede che l’omicidio sia stato dovuto alla gelosia o al senso dell’onore. Se questa interpretazione fosse corretta, sarebbe impossibile non pensare alla tragica vicenda di Paolo e Francesca che, non a caso, veniva raccontata in un altro V canto, quello dell’Inferno. Secondo altri commentatori, e Santagata è tra questi, il motivo potrebbe essere invece un’altra donna: Margherita Aldobrandeschi, una signora feudale dal grande potere politico che aveva avuto molte relazioni. Nello sarebbe stato, quindi, uno dei suoi amanti, e l’uccisione di Pia sarebbe stata strumentale alle seconde nozze con Margherita. La vicenda si fa sempre più intrecciata e complessa, tanto più che Nello faceva parte di uno schieramento inviso a Dante (di qui il motivo della presenza di Pia nella Commedia, che certo non dà una buona impressione dell’ex marito). Ovviamente, non ci sono risposte giuste: la Divina Commedia è un mistero, e questa storia ne è un esempio. Ma la vicenda di Pia è così commovente e struggente che non si può fare a meno di affezionarvisi. Nei quattro versi in cui racconta, laconicamente, il modo in cui è stata “disfatta”, c’è tutto il senso di un dolore che rifugge qualsiasi parola o spiegazione, di una vita che si è consumata troppo presto. È una vicenda che parla attraverso i silenzi, i sottintesi: come quella di Paolo e Francesca che richiamavamo prima, di fronte alla quale, infatti, anche Dante non aveva potuto fare a meno di farsi prendere dall’emozione e svenire.
a cura di Rebecca Molea