Disegnare Cesare Pavese: La Luna e i falò illustrata da Marino Magliani e Marco D’Aponte. Recensione della graphic novel

 Disegnare Cesare Pavese: La Luna e i falò illustrata da Marino Magliani e Marco D’Aponte. Recensione della graphic novel

A 70 anni dalla morte di Cesare Pavese, Marino Magliani e Marco D’Aponte gli rendono omaggio attraverso una graphic novel che fa rivivere il suo ultimo, nostalgico, romanzo: La Luna e i falò. Ad averla pubblicata è Tunuè, una casa editrice che ormai da anni si occupa di storie illustrate e che già qualche tempo fa aveva ospitato un’altra trasposizione grafica – ad opera degli stessi autori – di un romanzo novecentesco: Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi.

L’esperimento è coraggioso, e forse a qualcuno potrebbe addirittura sembrare azzardato. In realtà, il risultato è convincente e originale, e riesce brillantemente nell’arduo compito di avvicinare il pubblico a uno dei testi più importanti del Novecento italiano senza tradirne l’anima.

La Luna e i falò di Cesare Pavese: la trama

La storia de La luna e i falò è la storia di Anguilla, che ritorna al paese d’infanzia dopo aver passato molti anni in America, a rincorrere un sogno che aveva il sapore dell’avventura. Il suo ritorno è un viaggio nello spazio e nel tempo, tutto raccolto attorno al desiderio di scoprire cosa sia cambiato, nel frattempo; quanto, di suo, sia rimasto ancora in quel luogo sperduto tra le Langhe piemontesi. Ad accompagnarlo c’è Nuto, l’amico di sempre – l’amico che non è mai andato via, fedele alla terra e alla polenta; l’amico che è musica avvolgente, mani sapienti, sapere antico e concreto. La storia che quest’ultimo gli racconta, tra qualche indugio, riavvolge il nastro di un tempo crudele, che non ha risparmiato nessuno: quello della guerra, della Resistenza, delle sere passate a fuggire e a ripararsi; delle fucilate, della dissoluzione di un’epoca. È una storia secca, che ogni tanto torna a bussare – quando un corpo viene ritrovato, perché portato a valle dalla fiumana, o quando si visita la villa che apparteneva al Sor Matteo, le cui figlie scomparse sono il simbolo di qualcosa che è, ormai, perduto per sempre. Questo luogo d’infanzia – dove un tempo si passavano le notti a indovinare il futuro, guardando le stelle – è un paese in cui tutto è cambiato e tutto è rimasto, allo stesso tempo, uguale, obbediente ai ritmi ancestrali della vendemmia, del raccolto, dei falò che bruciano all’orizzonte. È un paese mitico e concreto, vivido e carnale – un po’ come tutti, direbbe Anguilla: «questo paese, dove non son nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi molto».

la luna e i falò

Un romanzo sul tempo e sull’appartenenza

Il racconto a cui dà vita Pavese è fatto del senso più profondo della violenza e del sacro, ma anche di memorie, sussurri, disillusioni. È un racconto fatto di terra, quella che senti fin dentro alle ossa, nel midollo – quando riconosci un odore, per esempio, o il suono del Belbo che scorre placido lungo le colline. La luna e i falò è un romanzo sul tempo che passa e su quelle cose che rimangono nostre per sempre; sulle radici e il paese, quel paese che «ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via». Ma è anche, soprattutto, un romanzo su chi siamo diventati e chi eravamo, su cosa abbiamo perso, su quel senso inspiegabile e irriducibile di appartenenza e in-appartenenza che caratterizza chiunque abbia abbandonato il suo paese per poi ritornarci, con occhi diversi, qualche anno dopo. Lo stile di Pavese è lento, denso, secco: è la voce di un uomo maturo che intuisce, al di là del particolare, il sospiro del mito. E il racconto si dispiega, così, attraverso una lingua che è impastata di piemontese, e che tradisce da ogni dove la sua appartenenza, il suo primo fondamento.

Non è un caso che La luna e i falò sia stato l’ultimo romanzo di Pavese: perché è l’ultimo ritorno a casa prima della partenza definitiva; un atto di riconciliazione e abbandono; l’estremo e commovente ritratto di una vita e di un vissuto, di quelle radici in cui si nasconde tutto il senso ultimo dell’identità.

La rielaborazione narrativa di Marino Magliani e Marco D’Aponte

Di fronte a un romanzo di tale portata, non è affatto semplice operare quei tagli necessari a porre la storia al servizio della narrazione visiva, soprattutto se si vuole restituire a tutto tondo l’universo a cui questo libro dà vita. Nonostante ciò, Marino Magliani e Marco D’Aponte sono riusciti brillantemente a ridurre la storia mantenendone, al contempo, gli episodi più importanti e le frasi più iconiche. Al romanzo pavesiano sono riservate le vignette a colori, mentre quelle in bianco e nero aggiungono un ulteriore piano alla narrazione, ripercorrendo gli ultimi momenti vissuti dall’autore morto suicida. È qui che sta, probabilmente, la maggiore originalità del testo, in quanto esso non si limita a trasporre graficamente il romanzo di Pavese, ma ne offre anche una particolare prospettiva interpretativa: quella che accosta la scrittura alla vita.

la luna e i falò

Sebbene sia prassi, nella critica letteraria odierna, astenersi da questo tipo di parallelismi, la graphic novel di Marino Magliani e Marco D’Aponte si rivela comunque un esperimento estremamente riuscito e interessante, in quanto Cesare Pavese è uno di quei (pochi) autori in cui il legame tra arte e vita si rivela essenziale e quasi inscindibile. La vita di Anguilla, così, si mescola a quella di Cesare, e quella di Nuto a quella dell’affezionatissimo amico Pinolo, a cui Pavese aveva fatto pervenire una copia del romanzo con questa dedica: «A Pinolo questo libro – forse l’ultimo che avrò mai scritto – dove si parla di lui – chiedendo scusa delle “invenzioni”, da Cesare». Della vita di Pavese vengono quindi ripercorse le ultime tappe: l’ultima visita a S. Stefano, l’ultima occasione mondana, l’ultima notte in quel solitario Hotel Roma dove si sarebbe tolto la vita. La graphic novel termina poco dopo la fine dello scrittore – e la letteratura diventa, così, rappresentazione dell’esistenza stessa.

Il tratto e il colore

Le illustrazioni che accompagnano la narrazione sono attraversate da un tratto spigoloso e ridotto ai minimi termini, che riesce ad interpretare perfettamente la ruvidità della scrittura e dell’ambientazione del romanzo originale. La tavolozza è concentrata su pochi colori che tornano quasi ossessivamente: il verde – quello delle colline, dei campi, delle Langhe; il marrone – quello della terra; il blu – quello delle notti stellate e delle feste di paese; il bianco – che è il colore di Santa e delle ragazze, simbolo di purezza e sacralità nel romanzo pavesiano; e il rosso – che, come nota Marta Barone nella prefazione, «è insieme profezia e avvertimento di ciò che è già successo», colore del sangue e dell’ultimo falò che chiude il romanzo. La scelta dei due illustratori è quella di far prevalere la vivacità del colore rispetto alle tinte tenui del ricordo e della memoria, e tra una tavola e l’altra compaiono, ogni tanto, delle citazioni più o meno dirette agli artisti del passato.

la luna e i falò

Leggendo questo libro si ha la sensazione di essere stati realmente immersi nella storia che Pavese immaginava, perché ci sono tutti gli elementi che la rendono unica e, in un qualche modo, magica: le colline, la madonna d’Agosto, i falò, le sere d’estate, il sangue che scorre. E allora non resta che lasciarsi trasportare dalle immagini, perché, forse, il modo migliore di assaporare questa storia è esattamente questo.

a cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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