Il racconto della domenica: À fügàssa di Ottavia Marchiori
Lo sanno tutti che qui è meglio non mettersi a mangiare. Non per la sabbia che può finire sopra al panino o perché non sta bene, come dice mia cugina Sonia arricciando il naso quando qualcuno le offre un pezzo di focaccia dopo il bagno. È perché ci sono loro. Adesso, per esempio, ce n’è uno che sta camminando vicino al mio ombrellone. Muove il collo a destra e a sinistra, e lascia orme a triangolo sulla spiaggia. Ha un pallino rosso sul becco giallo, cerco di non guardarlo dritto negli occhi come si fa con i cani, potrebbe reagire malamente. Se si vuole proprio mangiare, allora è meglio essere almeno in due, per guardarsi le spalle l’un l’altro: loro preferiscono attaccare quando sei da solo. Non li senti arrivare, i gabbiani sono molto furbi: ti spuntano alle spalle e in un attimo ti rubano il cibo di mano. Mi fanno paura. Adesso però ho davvero fame, la pancia ha iniziato a brontolarmi forte. Guardo il mio Flik Flak nuovo di zecca e mi devo concentrare per leggere l’ora, ho imparato a farlo da poco tempo. La lancetta più corta, quella a forma di bambina, è sulle dieci. Quella blu e lunga, il maschio della coppia, è sulle due. Quindi la mamma è via già da un po’, almeno da mezz’ora. Mi ha detto: «Marta, vado a fare il bagno. Tu stai qui buona, leggiti il tuo Corrierino e non dare confidenza a nessuno». Ce l’ha su, lei, con questa storia della confidenza. A me invece piace parlare con le persone, anche se non le conosco. Se non parli agli sconosciuti, come puoi fare amicizia? Comunque, da qui non riesco proprio a vederla, forse è uno di quei puntini che appaiono e scompaiono al largo, ma il sole fa brillare il mare di un bianco accecante e confonde le cose. A mamma piace nuotare, dice che la rilassa e le fa ritrovare se stessa. Io non ho capito bene cosa intenda, ma se la fa stare meglio, io sono contenta. Lei spesso non sta bene. Le chiama “le sue crisi”. Quando capitano, rimane coricata a letto per ore, anche adesso che siamo in vacanza. Si lamenta che ha il mal di testa, che non ha voglia di alzarsi e che non vuole parlare con nessuno. Allora io mi metto ai piedi del letto, sto buona buona e in silenzio le faccio compagnia. Papà è in città a lavorare e viene a passare insieme a noi solo i fine settimana. Arriva il venerdì sera e la mamma, appena lo vede, gli corre incontro e lo abbraccia felice, ma il mattino dopo iniziano i litigi. Lei urla come un’isterica contro papà che invece non dice una parola. Una volta il signore della pensione è venuto a bussare alla porta della nostra camera per chiedere per favore di fare meno rumore, di non disturbare gli altri ospiti, che quello è un posto di gente per bene. Mi sono vergognata tanto. Quando papà ci lascia per mettersi in viaggio la domenica sera, mamma si chiude in bagno a piangere.
Comunque è davvero strano, di solito quando va a nuotare non sta via così tanto. Spero si sbrighi a tornare, così posso tirare fuori dal borsone la focaccia con le olive verdi che abbiamo preso stamattina presto dal panettiere, qui di fronte all’entrata della spiaggia pubblica. Ci mettiamo sempre a metà della staccionata che separa dallo stabilimento balneare. Dall’altra parte è tutto già pronto e ben ordinato: i lettini, le sdraio. Noi invece dobbiamo portarci l’ombrellone a spalla dalla pensione fino a qui. E, invece della sdraio, ci sediamo su delle stuoie con il bordo di stoffa verde che lasciano il segno sulla pelle. Bisogna venire presto di mattina perché altrimenti non si trova posto, su questo corridoio di sabbia stretto tra i Bagni Stella Marina e lo sbocco a mare dove si scarica la fogna del paese. Anche in acqua ci sono delle barriere, delle corde lunghe fino alla boa. A volte, però, prendo il respiro e mi immergo passandoci sotto e spuntando dall’altra parte. Nessuno mi ha mai sgridato. La mamma tarda ancora. Sfoglio distratta le pagine del Corriere dei Piccoli ma è quello della settimana scorsa e l’ho già letto tutto. Vicino a me c’è una coppia di fidanzati sdraiati fianco a fianco sullo stesso asciugamano. Si guardano negli occhi e si parlano fitto fitto. Lei non smette di lanciare in aria dei risolini. Io, quando sarò grande e avrò il ragazzo, non mi metterò certo a fare queste smancerie. Andremo a fare surf insieme, ad esempio, e ci sfideremo per vedere chi è il più bravo. Guardo di nuovo l’orologio, è passato un altro quarto d’ora. Mi alzo e prendo coraggio. Chiedo ai due innamorati se per favore possono dare un’occhiata alle mie cose fino a quando non ritorno. Loro mi guardano con aria sognante e mi fanno di sì con la testa, poi tornano a pomiciare. Non sono sicura che mi abbiano capito. In direzione del bagnasciuga, passo in mezzo a due vecchie sedute su delle sedie di plastica bianca che affondano nella sabbia sotto il loro peso. Sento i loro sguardi pungermi da dietro le lenti dei loro enormi occhiali da sole. Faccio un saluto con la mano e loro mi sorridono, prima di rimettersi ad abbronzarsi con gli specchi di cartone piazzati sotto il doppio mento. Mi faccio largo tra i gruppi di bambini del corso di nuoto e mi metto a guardare intorno. Ancora non riesco a trovare mamma. Questa è la nostra ultima settimana di vacanza. Poi papà ci verrà a prendere, lui in città ha un negozio di ferramenta. La mamma, invece, da quando sono nata io, non lavora più perché deve prendersi cura di me e della casa. Prima teneva la contabilità per papà, ma adesso il suo posto lo ha preso Vanessa. È una ragazza giovane e bella, sempre gentile con me. Mi è simpatica, non mi fa mai le moine solo perché sono la figlia del suo capo e deve tenermi buona. Lei mi piace molto. La mamma, le poche volte che passa in negozio, non la saluta nemmeno. Quando i miei litigano, il nome di Vanessa viene ripetuto spesso. Io penso che la mamma sbagli, perché anche lei è giovane e bella ma ha un carattere davvero difficile. A volte mi immagino come sarebbe più facile avere come mamma Vanessa, che è così dolce e ha i capelli biondi che sanno sempre di vaniglia.
Mamma non c’è da nessuna parte, sento le lacrime pizzicarmi gli occhi. Mi metto a chiamarla in mezzo ai bagnanti, ma mi risponde solo una bambina con i capelli rossi con indosso i braccioli che mi fa il verso. All’improvviso mi viene il dubbio che forse, nel frattempo, è tornata al nostro ombrellone. Allora mi volto indietro, mi metto a correre. Alzo un po’ di sabbia con le infradito, la gente mi grida dietro infastidita ma non bado a loro, penso solo a trovare mia mamma mentre il cuore mi sta per esplodere. Sotto l’ombrellone, lei non c’è. I fidanzatini sono andati via, meno male che non si sono fregati la borsa. Se solo Sonia e la zia non fossero già partite. Loro fanno due settimane qui e un’altra in montagna. È per via delle allergie di cui soffre mia cugina. Il dottore le ha detto che cambiare aria le fa bene. Forse mamma è rientrata alla nostra camera? Adesso basta però, mi gira troppo la testa. Prima mangio qualcosa, poi la vado a cercare alla pensione. Guardo se non ci sono gabbiani nelle vicinanze e apro la cerniera del borsone, mi metto a rovistarci dentro. Cercando il pacchetto unto d’olio con la mia colazione, provo a ricordarmi se ho commesso qualcosa che l’abbia fatta arrabbiare. Sono stata brava, cerco sempre di esserlo perché mamma è severa, stare con lei non è facile. Mi sgrida spesso, si mette a sbraitarmi contro per qualsiasi cosa, anche se siamo in mezzo alla gente. A volte le persone intervengono, le dicono «Si calmi signora, è solo una bambina» e lei allora gli grida di farsi gli affari loro. Ma oggi no, mi sembra di essere stata molto attenta a non irritarla. Mi è parsa addirittura serena. Dal mare si sentono delle urla, sembrano quelle dei gabbiani, o forse sono i bambini della scuola di nuoto che scherzano tra di loro. Anche a me piacerebbe fare il corso, ma i miei dicono che sono soldi buttati via, che se riesco a stare a galla, basta e avanza. Tiro fuori la focaccia e inizio a mangiare, sento un grande sollievo mentre l’impasto salato mi si mischia sulla lingua, sotto i denti. Fa venire sete. Metto una mano nella borsa e cerco la bottiglietta d’acqua e le mie dita toccano qualcosa di sottile, di rigido: è carta. Una busta. Intanto i bambini o i gabbiani non la smettono di urlare, allora guardo verso l’acqua. Non sono i bambini né i gabbiani, sono i grandi a urlare, hanno mani sulle bocche. O tra i capelli. O sugli occhi. Si agitano e indicano tutti verso uno stesso punto, poco in là dalla riva. La busta è bianca e sopra c’è la calligrafia della mamma. C’è scritto “Per Luigi”. Luigi è il nome di mio papà. Allora la apro e dentro non c’è nessuna lettera ma una foto. Sulla spiaggia la gente ha lasciato gli ombrelloni per andare a vedere. Anche nello stabilimento vicino c’è una gran confusione. I genitori dei bambini del corso li vanno a prendere a forza, li strattonano per le braccia, li trascinano fuori dall’acqua come se fosse infestata dagli squali. Qualcuno piange. Mi alzo e vado a vedere. C’è un gruppo di persone che stanno impalate, lì in piedi intorno a qualcosa di chiaro e molle. Forse è una medusa gigante o un pesce strano. Peccato aver lasciato la Kodak usa e getta in camera. L’altro giorno all’edicola vicino alla pensione, ho visto una cartolina con sopra una foto antica dei pescatori del posto che tiravano a riva una tartaruga marina grossa come un’automobile. Un uomo è inginocchiato vicino alla cosa e si agita muovendosi in quella che sembra una danza ritmica. Le mani che premono in mezzo alla cosa bianca che sta sulla spiaggia e non si muove. La cosa non è una cosa. La cosa è la mamma. Ho un rigurgito, mi piego a vomitare la focaccia sui miei piedi e su quelli delle persone vicine. Sono disgustate, mi rimproverano. Qualcuno mi dà uno spintone per allontanarmi. Prima di cadere e perdere i sensi, in testa le cose mi si mischiano tutte insieme. La foto nella busta. La bocca dell’uomo su quella della mamma. La bocca di papà su quella di Vanessa. Un gabbiano appare sulla sabbia sporca e si avventa sui resti della mia colazione.
Ottavia Marchiori