Quel prodigio di Harriet Hume di Rebecca West: la vittoria della bellezza sull’esigenza maschile del dominio. Recensione

 Quel prodigio di Harriet Hume di Rebecca West: la vittoria della bellezza sull’esigenza maschile del dominio. Recensione

Fazi Editore prosegue nella riscoperta delle opere di Rebecca West, nota ai lettori per il successo della trilogia dedicata alla famiglia Aubrey. Femminista ante litteram, viaggiatrice e autrice di diari di viaggio di grande valore, Rebecca West (1892-1983) fu definita “Indiscutibilmente la migliore scrittrice al mondo” sul Time nel 1947, eppure le sue opere furono pressoché dimenticate e di lei si ricorda quasi esclusivamente la relazione tormentata con H. G. Wells e l’amicizia con Virginia Woolf.

Quel prodigio di Harriet Hume: la trama

Harriet Hume è una donna straordinaria, affascinante, come non ne esistono nella Londra dei primi del ‘900. Pianista squattrinata, amante della musica e della natura, Harriet volteggia leggera per i giardini di Kensington raccontando storie favolose sugli alberi e nutrendo gli anatroccoli del lago. Libera, stravagante ed estremamente femminile, Harriet  Hume è anche dotata di straordinari poteri che le permettono, al pari di una strega, di prevedere il futuro e leggere nel pensiero dell’amato Arnold Condorex. Egli, al contrario, è un uomo spregiudicato, privo di scrupoli, capace di tutto pur di ottenere la promozione sociale cui ambisce da sempre. Non potrebbero esistere due personaggi letterari più distanti tra loro, eppure, come vittime di un sortilegio, Harriet e Arnold si attraggono e respingono in una battaglia tra amore e odio, necessità e distacco. Harriet è infatti l’unica in grado di smascherare gli inganni e le macchinazioni inscenate dall’amante, trasformandosi in una sorta di intima coscienza dell’uomo che sarà condotto, grazie a lei, a una profonda crisi esistenziale.

“Si, siamo i due opposti”, disse Harriet, “ma certo non c’è niente di male in questo. C’è il Nord e il Sud, e tra loro non c’è conflitto.”

“Tuttavia entrambi hanno la loro posizione”, le spiegò lui, “in uno spazio esteso nel quale c’è posto per tutti. Nel mondo degli spiriti non è la stessa cosa.”

Come la scrittrice smaschera le logiche patriarcali

La vicenda amorosa, che si dispiega nell’arco di un ventennio, è narrata dal punto di vista di Arnold Condorex. La West, in questo modo, realizza un’interessante caratterizzazione psicologica maschile in cui smaschera apertamente le logiche di potere, i ragionamenti patriarcali, la sottomissione cui vengono meschinamente relegate le donne, nonché gli inganni e le negoziazioni che spesso muovono l’agire degli uomini più abietti. Il lettore viene a conoscere, con terribile lucidità, gli ingranaggi della mente di un uomo mosso dalla follia, in balia di sentimenti spregevoli quali il risentimento, l’odio e infine il desiderio di vendetta.

“Il fatto che tu sia una bella donna, Harriet, rende la tua offesa ancora più grande. A un uomo non piace per niente vedere i propri difetti messi in evidenza da una bella donna. Cose del genere dovrebbero essere fatte da zie con le caviglie grosse, che, qualsiasi cosa accada in quella specifica discussione, continuano a rimanere nella posizione più svantaggiosa.”

La figura di Harriet, secondaria ma dal fascino magnetico, apporta un tocco di magia e surrealismo al racconto che assume toni magici, al confine tra sogno e realtà.

“(…) e pensò che se davvero lei desiderava avere l’aspetto di una donna qualunque, che cammina sulla terra e ha lo stesso peso specifico di tutte le altre, avrebbe fatto meglio a non farsi disegnare gonne tanto ampie, perché l’esuberanza del loro ondeggiare sembrava sospenderla in aria.”

La scrittura di Rebecca West

“Quel prodigio di Harriet Hume” procede lentamente, indugiando sui particolari che la scrittrice non omette mai al lettore. La scrittura della West è infatti caratterizzata da periodi complessi e articolati, da un lirismo nelle descrizioni che sono minuziose e ricercate. Ne emerge un affresco poetico, di grande raffinatezza ed eleganza che conferma, anche grazie alla magnifica traduzione di Francesca Frigerio, il talento di una scrittrice da riscoprire e da riportare in auge.

“C’era un che di umano anche nel modo in cui si elevavano sul terreno con un’eleganza più che arborea, come se le loro radici di un tempo avessero seguito le direttive di un maestro di ballo; e le loro foglie a quell’ora della sera sembravano più fiori che foglie, perché avevano quasi il colore dell’oro nel punto in cui il sole le illuminava ed erano di un blu profondo là dove la luce non arrivava, e non erano proprio come fiori, in verità, ma come quei boccioli appena schiusi partoriti dalla fantasia di una ninfa.”

a cura di Silvia Ognibene
@silviabookolica

 

 

 

Silvia Ognibene

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