Sandro Frizziero: da Sommersione alla scrittura, passando per hobby, musica e Spritz. Intervista

 Sandro Frizziero: da Sommersione alla scrittura, passando per hobby, musica e Spritz. Intervista

Un romanzo che parla di solitudine, rabbia, odio e dolore. Un racconto preciso, tagliente, che ci conduce nella vita di un anziano pescatore, facendoci immergere nei suoi pensieri, nella sua vita, nei suoi ricordi, lasciandoci poi annegare pian piano in un abisso. Sommersione è l’ultimo romanzo di Sandro Frizziero, finalista al Premio Campiello. Lo abbiamo intervistato qualche mese fa, “sommergendolo” di domande. E con lui, abbiamo preso il largo! Buona lettura

 

Partiamo dal titolo del tuo ultimo libro: Sommersione. Come hai scelto questo titolo? 

Sono almeno tre le sommersioni presenti nel mio libro: la prima è quella dell’Isola, vera e propria coprotagonista del romanzo, che ogni sei ore viene invasa dalle acque; la seconda è quella del  protagonista, soffocato dal peso di un passato (e di un presente) tormentato che non gli lascia via di  scampo; la terza è quella del lettore, che viene trasportato in un mondo sgradevole, oscuro, che lo pone  con le spalle al muro di fronte a quegli aspetti della realtà che solitamente tutti noi facciamo finta di  non vedere. Non escludo, poi, che lo stesso lettore possa individuare altre personalissime sommersioni, anzi, glielo auguro a patto che poi riesca a riemergere, s’intende.

Il tuo libro è uscito il 12 marzo, cioè il giorno in cui in tutta Italia si è deciso per il lockdown.  Rivelaci il tuo primo pensiero alla notizia della chiusura. 

Fin dai primi momenti ho provato un senso di profonda rassegnazione: forse, mi dicevo, è destino che Sommersione venga a sua volta sommerso dal corso degli eventi, si perda tra le onde di un presente così eccezionale.

Nel libro non parli di un eroe, ma di un antieroe. Un uomo nutrito dal male.  Come mai hai fatto questa scelta? 

Il mio romanzo nasce dal profondo bisogno di affrontare, con gli strumenti della narrativa, alcuni temi: la morte, il dolore, la sofferenza, l’odio, la violenza; il male, insomma, nelle sue molteplici forme.  L’idea, fin da subito, è stata quella di scrivere senza fare sconti, uscendo dall’ottica consolatoria attraverso la quale molto spesso si parla di certi argomenti. Creare dunque un attrito, secondo me benefico, tra il mio racconto e le aspettative di chi lo avrebbe letto. Dare fastidio, per mostrare le tante  ipocrisie mascherate dal politicamente corretto, per fare in modo che il lettore riconoscesse in un  personaggio assolutamente odioso anche un po’ se stesso. L’ho fatto perché mi piacciono i libri che mettono in discussione le mie certezze e guardano il mondo da un punto di vista scomodo, minoritario,  laterale. Senza contare, poi, che ho sempre avuto simpatia per gli antieroi, che mi sembrano più veri, più umani degli eroi.

Nel tuo libro una grande protagonista è l’isola. Un posto che protegge ma anche dal quale non è possibile fuggire. C’è un posto reale, in cui ti senti così? 

La provincia dove vivo (come le tante province del nostro paese) è un luogo che mi affascina e che mi imprigiona allo stesso tempo, anzi direi che mi imprigiona nella misura in cui mi affascina. Però credo che altrove mi sentirei meno protetto e ugualmente prigioniero.

In quale città ti piacerebbe vivere? 

Sono contento di vivere nella città (Chioggia ndr.) dove sono nato e cresciuto, qui sto bene. Per il resto, se dovessi trasferirmi altrove, un requisito fondamentale sarebbe la presenza del mare. Non riuscirei a starci troppo lontano.

Nel tuo romanzo la concezione del tempo ha un ruolo molto importante. Che rapporto hai con il tempo? Sei un nostalgico o uno che guarda al futuro? 

Tendo alla nostalgia anche se razionalmente la rifiuto. Il passato per me è un pastone indistinto, un minestrone dove tutto si mescola e si sovrappone, le cose belle e quelle brutte. Il pensiero del futuro mi mette ansia più che altro. Per riassumere, direi che cammino verso il futuro guardando con un occhio il passato e con l’altro dove metto i piedi.

In Sommersione si parla anche di sensi di colpa. Qual è il tuo senso di colpa più grande? 

Come il protagonista di Sommersione, io vivo un perenne senso di colpa per qualcosa che non ho commesso. Forse mi sento così perché tutti noi, quando facciamo il male, il più delle volte, crediamo di essere nel giusto.

Il commento più bello al tuo libro. Il più brutto? 

Durante una presentazione in una villa veneta, una giovane ragazza che non avevo mai visto prima, è intervenuta dicendo di non aver odiato il protagonista del mio libro, anzi, di aver provato per lui un senso di profonda compassione, aggiungendo un paio di riferimenti al testo dove si vedeva, a suo parere, come lui in fondo amasse la moglie. Lo ha detto con una tale partecipazione emotiva, che mi sono commosso. Io e gli altri presenti. Si capiva che parlando del mio libro, lei parlava anche di qualcuno che conosceva o forse di se stessa, non lo so. So solo che sono stato colpito da come il mio libro l’aveva coinvolta. Commenti “brutti”, a dire il vero, non ne ho ricevuti. Ne ho letto qualcuno che definirei superficiale: il libro non è bello perché il protagonista è cattivo, perché non mi  sono immedesimato in lui, perché ci sono delle espressioni volgari, perché non succede niente…cose  così, insomma.

A chi hai detto, per primo, di essere finalista al Campiello? 

Mi ricordo bene il giorno in cui ho saputo del Campiello. Stavo passeggiando con alcuni amici in cima al monte Grappa, in un punto dove non c’era campo. Una volta sceso a valle il telefono è esploso. Sono corso ad abbracciare la mia compagna Alice e mia figlia Marta, le persone che di più avrei voluto vicine in quel momento.

Come ci si sente ad essere finalista al Campiello? 

Da lettore, ho sempre apprezzato le scelte della giuria del Campiello; potrai quindi immaginare la grande gioia quando ho saputo di essere in cinquina. Fin da subito sono stato più contento per il libro che per me. Date le circostanze a dir poco particolari della sua uscita (vedi sopra) il premio gli ha dato una seconda vita, la possibilità di incontrare molti più lettori e questo mi ha reso davvero felice, al di là di tutto.

C’è un momento preciso in cui hai capito di voler fare lo scrittore? 

In realtà, non ho mai pensato di voler “fare lo scrittore”. Io scrivo e lo faccio perché è il mio modo per esprimermi, per comunicare con gli altri, per dare forma alle mie idee, per indagare le mie ombre. Lo farò fin quando potrò.

Il tuo primo libro letto? 

Davvero non ricordo quale sia stato il mio primo libro. Conservo, però, il bellissimo ricordo di mia madre che, prima di addormentarmi, mi legge l’Odissea in una riduzione per giovanissimi. In fin dei conti, non saprei immaginare un percorso di avvicinamento alla lettura (e alla letteratura) più coerente.

Quali sono i tuoi autori preferiti? 

Durante il liceo e l’università ho incontrato i grandi classici: dai russi a Victor Hugo, da Dumas a Melville. Ho passato delle nottate insonni in compagnia di Kafka, ho amato i romanzi “esistenzialisti” di Camus e Sartre, ho scoperto gli autori “postmoderni” come Calvino, Manganelli, Borges e i  “cannibali”. Successivamente, ho avuto modo di incontrare una serie di autori veneti che hanno plasmato la percezione della terra in cui vivo: Meneghello, Berto, Permunian, Trevisan, Maino, Scarpa,  Bugaro, Targhetta. Un altro autore che leggo molto, e che amo soprattutto per la scrittura, è Thomas Bernhard. Nel mio personale canone inserirei anche Walter Siti che è un autore che non si autocensura e che non ha paura di mettere in crisi il lettore. E poi, Giorgio Falco, Georgi Gospodinov, Bohumil Hrabal,  Clarice Lispector. Mi fermo, perché potrei andare avanti per un bel po’.

Tu sei un insegnante. Che rapporto hai con i tuoi alunni? 

Spero un buon rapporto, almeno con la maggior parte di loro. Diciamo che non mi ispiro al professore dell’Attimo Fuggente. Secondo me quel film presenta un’immagine stereotipata e sostanzialmente fallace del bravo insegnante. Non voglio fare l’amicone degli studenti, né accattivarmi la loro simpatia con qualche trucchetto. Io vivo l’insegnamento come un lavoro (per quanto particolarissimo) e non come una missione umanitaria. Credo che alla fine gli studenti mi apprezzino proprio perché scanso il  maternage.

Qual è la frase che ripeti loro più di frequente? 

Spesso mi trovo a ripetere che non devono studiare né per il voto né per far contento me o i genitori, ma per soddisfare il loro intimo e naturale bisogno di conoscere e ragionare.

Ti capita mai di pensare, già a inizio anno, questo lo boccio?

No, mai. Mi capita di pensarlo alla fine dell’anno, ma nella scuola di oggi bocciare è quasi impossibile.  Spesso non si riesce a farlo nemmeno se è l’alunno, implicitamente o esplicitamente, a chiederlo.

Ora viriamo su altri lidi. Album preferito? 

Non ce n’è solo uno ma ora, chissà perché, mi viene Fragile degli Yes.

Hobby preferito? 

Quando non lavoro, leggo o scrivo. Quando lavoro, non leggo e non scrivo, mi arrabatto nel risolvere le tante grane della quotidianità. Se non sto facendo nessuna di queste cose, probabilmente dormo.

Spritz o prosecco? 

Spritz rigorosamente al Campari, con una lacrima di Cynar.

Immagina di essere un libraio. Convincimi a comprare e a leggere Sommersione. 

Faccio un po’ fatica a vendermi. Durante una presentazione, sono riuscito a convincere qualcuno a comprare il mio libro cercando di distoglierlo dal leggermi. Quindi potrei tentare questa strategia di promozione in negativo: se cerchi una bella storia, consolatoria, appagante, medicamentosa, che  restituisca un’immagine positiva dell’umanità, un romanzo dove tutto si tiene, tutto è perfettamente  coerente, dove perdersi in paesaggi ameni e in una scrittura intima che ti fa sognare, beh, non leggere il  mio libro!

a cura di Claudia Borzi – libraria Mondadori Eur Roma

Blam

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