Aratro ritorto: lotta per la libertà, folklore e magia nel libro di Itamar Vieira Junior. Recensione
Con Aratro Ritorto entriamo in un mondo molto lontano dalla storia che ha percorso la penisola italiana nel corso del Novecento. Sfogliamo le pagine del romanzo e per qualche attimo ci viene data la possibilità di comprendere la schiavitù: non solo nel suo significato concreto, ma soprattutto nelle conseguenze che comporta, come si radica profondamente nella mente, nella coscienza collettiva di una comunità. Scopriamo il valore di una magia che cura le ferite -dell’anima, del corpo – più delle medicine. Scopriamo gli encantados, le brincadeiras, i curadores. Questo e tanto altro nel nuovo romanzo edito in Italia da Tuga Edizioni.
Itamar Vieira Junior
Itamar Vieira Junior nasce a Salvador, Bahia, in Brasile. Autore di due raccolte di racconti (inedite in Italia), con Torto Arado ha vinto il premio Leya in Portogallo nel 2018 ed è attualmente nella cinquina finalista per il premio Jabuti, il più importante riconoscimento letterario per la letteratura brasiliana.
Aratro Ritorto: la trama del libro di Itamar Vieira Junior
Aratro Ritorto, edito da Tuga Edizioni nella traduzione di Giacomo Falconi, racconta la storia – che inizia nei primi anni del Novecento – di una grande famiglia di lavoratori rurali che vive in una fazenda, Agua Negra, situata nella Chupada Diamantina (stato di Bahia, Brasile). Qui la comunità nera lavora ancora in una forma di schiavitù che non è tale solo sulla carta: uomini e donne coltivano le terre dei fazendeiros senza posa, ricevendo in cambio il permesso di vivere in quegli stessi luoghi con le rispettive famiglie. Le vicende si concentrano su due sorelle, Belonísia e Bibiana, unite da un evento tragico capitato durante l’infanzia che provoca la perdita della parola da parte di Belonísia, che sarà però in grado di comunicare con il resto del mondo grazie alla sorella che si fa Sua voce. Arrivate all’età adulta, le strade delle due sorelle si divideranno: Bibiana deciderà di allontanarsi dalla fazenda per cercare di assicurare a se stessa e al resto della famiglia una vita lontana dalla schiavitù; Belonísia rimarrà invece vicina alla terra che ama intensamente e dalla quale non si separerà mai.
Generazioni a confronto su schiavitù e liberazione
Il romanzo di Vieira Junior parla con voce epica dell’epopea di una famiglia che seguiamo anno dopo anno alla scoperta di un pensiero che cambia, evolve; generazioni che dialogano alla ricerca del punto di vista altrui. Da una parte gli anziani patriarchi come Zeca Capello Grande (padre delle due sorelle Bibiana e Belonísia), che accettando la schiavitù nella fazenda perché hanno trovato una possibilità di sopravvivenza, e di questo sono grati:
“Appoggiò la zappa in verticale sul suolo, tenendo la punta del manico con un braccio. ‘Avere un documento che dice che la terra è tua non ti darà più mais né più legumi. Non ti metterà più cibo nel piatto’.
Le generazioni successive – Bibiana e soprattutto il marito Severo, ma anche i nipoti del grande curador di Agua Negra – a queste condizioni decidono di non sottostare; uomini e donne dolorosamente consapevoli dello sfruttamento cui sono oggetto, una condizione di sottomissione ancora troppo presente, pressante.
La schiavitù, viene ribadito spesso all’interno del libro, è stata abolita da tempo sulla carta ma nei fatti esiste ancora, permane nelle vite delle sorelle Bibiana e Belonisía, nella quotidianità della loro famiglia allargata. Schiavo è una parola che non può essere pronunciata ad alta voce, ma è così che di fatto vivono le famiglie nella fazenda. Lavorano la terra del padrone da domenica a domenica, e in cambio ricevono il permesso di abitare quella stessa terra, di coltivare un piccolo pezzo per la propria sussistenza; ottengono di invecchiare in case di fango (non di muratura, non è permesso) destinate a crollare su loro stesse a ogni nuova pioggia, come promemoria continuo della precarietà riservata alla loro condizione.
La terra – come luogo, come lavoro, come parte del sé – è sentita intimamente da Belonísia, da Bibiana, da Salu, da Zeca Capello Grande. Sono loro a lavorarla, a vederla crescere, ad amarla, a sentirla con il loro corpo nelle mani e sulle braccia. Sembra loro, ma non lo è. Non lo sarà mai.
“Pensai alle parole di Severo sulla situazione delle nostre famiglie nella fazenda. Che per tutta la vita saremmo stati sottomessi, vittime di umiliazioni, come il saccheggio dei nostri viveri. Che io avevo un ruolo in tutto quello, e che i miei genitori avevano bisogno di me per cambiare vita. Che avremmo potuto, sì, comprare la nostra terra e poi andare a prenderli. Che solo in questo modo avremmo potuto vivere una vita degna”.
Bibiana e Belonísia
Altro grande nucleo narrativo interessante del libro è quello del rapporto tra le due sorelle Bibiana e Belonísia: bambine, ragazze e poi donne che scelgono vite opposte ma ugualmente colme di dignità e dense di significato. Da una parte Bibiana, che prende la dolorosa decisione di allontanarsi dalla famiglia e dal suo intero mondo rivolgendo lo sguardo a un futuro che per lei è inconoscibile, spinta da un fuoco che non le permette di accettare un destino di dominazione.
Dall’altra parte Belonísia, che al contrario non riesce a separarsi dalla terra per la quale nutre un amore viscerale. Capisce i desideri della sorella e del carismatico marito Severo, ma allo stesso tempo decide con grande forza di rimanere legata alla sua terra, alla famiglia, agli encantados che governano la vita del padre Zeca.
Quella di Aratro Ritorto è la storia potentissima di un processo di liberazione, una presa di coscienza lenta ma profonda di una realtà che diventa di figlio in figlio, di nipote in nipote, inaccettabile.
Così Severo e Bibiana, ma anche Inacio il loro figlio e tutti gli abitanti di Agua Negra, pretendono con forza ciò che i genitori o i nonni non avevano mai creduto possibile, senza mai dimenticare loro stessi, la loro storia, la loro magia sempre incredibilmente presente nella trama di ogni conversazione.
Aratro Ritorto è destinato, come molti hanno detto prima di noi, a diventare un classico della letteratura brasiliana. Un romanzo dai toni quasi epici nel quale la lotta di liberazione del popolo, osservata dal punto di vista della grande comunità di Agua Negra, si mescola al folklore, alla magia degli encantados, alla terra.
a cura di Alessia Cito
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Complimenti per la recensione. Se posso aiutare: “Chapada” Diamantina.