8tto edizioni: una casa editrice, quattro amiche e un “paio” di libri. La storia
Milano, quattro amiche e il sogno nel cassetto di poter pubblicare tutti i libri che rimanevano fuori dal mondo editoriale italiano. È nata così 8tto, una casa editrice che si occupa del mondo anglofono e di libri che sappiano raccontare storie in continuo movimento. Ne abbiamo parlato con Benedetta Vassallo, una delle quattro fondatrici. Se volete saperne di più, scorrete oltre e immergetevi in questo mondo frizzante! Buona lettura.
8tto: dietro questo nome c’è tutta una filosofia sul movimento, sulla libertà delle storie e sull’esplorazione dei mondi letterari. Com’è venuta l’ispirazione per questo nome?
Cercavamo un nome non banale – ovviamente! – e che potesse essere anche grafico e riconoscibile. L’intreccio del numero 8 ci ha fatto venire in mente le infinite possibilità che hanno le storie di seguire un tracciato e allo stesso tempo di cambiare, modificarsi, di sembrare sempre uguali ma essere anche completamente diverse. La circolarità che caratterizza il tratto della penna su un foglio mentre disegna un 8 ci è sembrata riassumere questo concetto. Senza dimenticare che l’8 è un numero simbolico potente. Ma la versione breve è che abbiamo scelto il numero 8 perché siamo in 4 ma valiamo per 2!
Vi occupate di letteratura anglofona, in senso lato: nel vostro catalogo ci sono scrittori inglesi, scozzesi e irlandesi. Cos’è che rende le voci di questo “mondo” riconoscibili rispetto alle altre (per esempio, rispetto a quella italiana)?
Per ora abbiamo autori inglesi, americani e australiani, ma sì, diciamo che la nostra parabola è puntata più verso Gran Bretagna e Irlanda. Quello che distingue queste voci dalle altre è ovviamente la lingua che parlano, che non è solo l’uso diverso delle parole, ma è proprio un modo di vedere il mondo. Nazionalità differenti filtrano la realtà in modo diverso, e la lingua è sia un prodotto di questo approccio sia uno strumento dell’approccio stesso. Lo sguardo anglofono sull’uomo può portare alla luce elementi rimasti in un cantuccio, fuori dal campo visivo del lettore di un’altra nazionalità. E a noi piace molto quello sguardo.
In futuro pensate di aprirvi anche verso altre realtà nazionali?
Siamo sempre curiose di conoscere voci e paesaggi letterari diversi, soprattutto se sono un po’ fuori dagli schemi, quindi, sì, è possibile che altre lingue contribuiranno a creare la Babele di 8tto. Tuttavia dobbiamo rimanere concentrate e fare un passo alla volta, assicurandoci di garantire sempre quella qualità che vogliamo ci contraddistingua. Quando saremo pronte a muoverci in quella direzione, i nostri passi seguiranno un sentiero che ci auguriamo i lettori sapranno riconoscere come nostro.
Finora avete pubblicato cinque scrittrici e un solo scrittore. C’è un motivo dietro questa scelta o è stata frutto del caso?
Di fatto è un caso fortuito, ma certamente da non sottovalutare. Quando ci siamo messe alla ricerca dei libri giusti per 8tto, avevamo in mente una linea editoriale precisa e senza rendercene conto l’abbiamo trovata nelle nostre prime quattro autrici, due di loro poi sono donne che hanno scritto in un recente passato, ma la loro produzione non ha mai ricevuto il giusto consenso – vuoi per le tematiche trattate, vuoi perché sono donne… Sono molti i libri di scrittrici che valutiamo, non tutti a nostro avviso sono interessanti, ma di certo la letteratura al femminile ha molto da dire sotto ogni punto di vista. Poi è arrivata la nostra prima quota azzurra, Samuel Fisher, scrittore, libraio ed editore che è riuscito a condensare tutto il suo amore per i libri nel suo romanzo d’esordio, Il camaleonte, che non è passato inosservato a noi di 8tto e abbiamo deciso di portarlo in Italia.
Che ingredienti deve avere un libro per essere pubblicato da voi?
Deve avere quel non so che di strano, un elemento che lo discosti dagli altri: può essere nello stile di scrittura, oppure nella trama o nei personaggi. Quel qualcosa che ti fa sollevare gli angoli della bocca in un accenno di sorriso. Non un sorriso necessariamente divertito, ma compiaciuto, come quando si assaggia un piatto speciale.
Quando avete aperto la vostra casa editrice, uno dei vostri intenti era far conoscere voci fuori dagli schemi, che spesso venivano scartate dagli editori con cui vi trovavate ad avere a che fare. Come riuscite a far coesistere la voglia di pubblicare libri dirompenti con la necessità di incontrare i gusti del pubblico?
Non abbiamo mai creduto che il pubblico non possa apprezzare – anzi adorare – libri dirompenti. Bisogna solo proporglieli. È questo il nostro lavoro, trovarli e proporli ai lettori. Non il contrario. Presupporre di conoscere i loro gusti sulla base di quanto hanno già letto crea un limite corposo alla possibilità di ampliare questi gusti. Certo, ci sono casi in cui bisogna superare qualche diffidenza, forse, ma è questo che fa un editore.
Aprire una casa editrice partendo da zero, in una nazione in cui non si legge moltissimo, è una scelta coraggiosissima (e forse, per qualcuno, anche un po’ folle). Quanto è stato difficile?
La parte difficile è stata decidere di partire. Una volta tratto il dado, per così dire, è stato più semplice di quel che pensavamo. Un po’ perché avevamo le idee chiare e i piedi ben piantati in terra, un po’ perché il nostro bagaglio professionale si è rivelato adeguato alla sfida e infine perché ci siamo messe a studiare come matte quello che non sapevamo. Le difficoltà ci sono, e le scopriamo man mano, ma non abbiamo nessun ripensamento e l’entusiasmo è ancora intatto.
Cos’è che dovrebbe portare un lettore che legge un vostro libro a dire: «si vede che è pubblicato da 8tto»?
Direi che la riconoscibilità dei nostri libri parte già dalla veste grafica. Le nostre copertine da sole gridano 8tto a pieni polmoni. Poi, a lettura in corso, quel guizzo, quell’incursione nell’inconsueto che sorprende. E la cura, la cura che mettiamo in ogni libro che pubblichiamo.
A che lettore vi rivolgete, idealmente, con i libri che pubblicate?
A un lettore curioso, dalla mente aperta, che non ha paura di intraprendere strade che deviano dai suoi percorsi abituali, anzi, ne è stimolato.
Voi quattro non siete solo editori, ma anche lettrici: ci consigliate un libro a testa che dovremmo assolutamente leggere?
Per Alessandra una domanda difficilissima. Tra le ultime cose lette, un libro che ha recepito come un’urgenza per capire un po’ meglio il mondo e quell’altro da sé che avremmo un disperato bisogno di conoscere è Stato di emergenza di Navid Kermani (Keller).
Cristina consiglia Corrigan di Caroline Blackwood (Codice), perché è un prisma di specchi.
Per Benedetta Un matrimonio americano di Tayari Jones (Beat Edizioni), un romanzo crudo e delicato allo stesso tempo che attraverso la storia di un matrimonio ci illumina sulla condizione dell’essere umano. Un piccolo gioiello in cui destino, pregiudizi razziali e un amore negato si intrecciano.
Manola consiglia Scrittura cuneiforme di Kader Abdolah (Iperborea), perché per quanto si appartenga a società, culture, religioni differenti le emozioni e i sentimenti sono gli stessi per l’intero genere umano.
Chiudiamo così: cosa trovate di tanto unico nella letteratura da avervi spinto a dedicarle anche il vostro lavoro, oltre al tempo libero?
La letteratura è libertà, è conoscenza di ciò che è diverso da te, dal tuo mondo, è viaggiare in luoghi che forse non ti saresti mai sognato di raggiungere, e intraprendere il mestiere di editore ti dà la possibilità di non smettere mai di fare tutto questo.
a cura di Rebecca Molea