Il gioiello della corona di Paul Scott: un affresco dell’India coloniale. Recensione
“Il gioiello della Corona” è il primo volume della tetralogia intitolata “The Raj Quartet” che Paul Scott, vincitore del Man Booker Prize nel 1977, pubblicò in Inghilterra a partire dal 1966. Fazi Editore ne pubblica una nuova traduzione che ridà lustro a un’opera illuminante, un vero e proprio documento storico che fotografa un periodo fondamentale: il declino del colonialismo britannico.
Il gioiello della corona: la trama del libro
Ci troviamo nella città Indiana di Mayapore nel 1942. Nel pieno del conflitto mondiale che vede l’Inghilterra alle prese con la minaccia nazista, il dominio britannico sulla colonia indiana – il più bel gioiello della corona della regina – inizia a vacillare, mostrando le tensioni che agitano due mondi così diversi ma storicamente legati. In un clima di crescente tensione, lo stupro dell’inglese Daphne Manners ad opera di un gruppo di delinquenti non identificati, dà luogo a una drammatica catena di eventi. Daphne non è una ragazza inglese come le altre, una di quelle che frequentano il circolo rigorosamente vietato ai neri e ostentano superiorità a ogni buona occasione. Lei è diversa tanto che s’innamora del giovane Hari Kumar, dalla pelle scura. Hari, sebbene di famiglia indiana, è cresciuto in Inghilterra studiando in una delle migliori scuole private di Birmingham. Quando il padre muore lasciandolo privo di eredità e di legami, egli è costretto a rientrare a Mayapore dove dovrà adattarsi alla vita di un qualunque uomo indiano, pur non riconoscendo quel destino come il proprio. L’amore tra Dapnhe e Hari è osteggiato, mal visto, un amore impossibile destinato a rivelarsi una condanna per entrambi.
“Un inglese dalla pelle scura che a Mayapore era diventato, sosteneva lui, invisibile ai bianchi.”
Un intreccio complesso di personaggi per creare l’affresco dell’India coloniale
La vicenda dei due innamorati è solo una parte dell’intreccio di personaggi, eventi e fatti che Paul Scott realizza, raccontando l’India attraverso punti di vista molto differenti tra loro. La struttura del romanzo è infatti complessa. I fatti che portarono alla fatidica notte nei giardini di Bibighar, dove ci fu la violenza ai danni di Daphne, sono raccontati da un anonimo viaggiatore che negli anni ’60 vola fino a Mayapore per raccogliere le testimonianze del periodo in cui iniziarono gli scontri tra inglesi e indiani e che avrebbero condotto, negli anni successivi, all’indipendenza indiana. Il viaggiatore raccoglie così le testimonianze, scritte e orali, dei diversi personaggi che ruotarono attorno ai fatti di Bibighar: la missionaria Miss Crave, Sorella Ludmilla, l’avvocato della famiglia Kumar, l’indiana e ricca Lady Chaterjee, il brigadiere Reid e il vicequestore White. Va così delineandosi un racconto su più livelli cronologici, di cui il lettore conosce già, anche se solo parzialmente, la conclusione. Fino alla settima e ultima parte, in cui sarà la stessa Daphne a svelare, attraverso il suo diario e alcune lettere indirizzare alla zia, la verità sulla violenza subita.
“Vede, quando tutto fu finito e gli inglesi ebbero ripreso il controllo, per un certo periodo, prima che venisse scalzato da altri pettegolezzi, a Mayapore regnò il desiderio di distruggere Miss Manners, la sua reputazione e la sua memoria.”
La struttura narrativa
Con una struttura narrativa sapientemente orchestrata e un linguaggio ricco e particolareggiato, Paul Scott crea un affresco magnifico, un vero e proprio documento storico che fornisce un’immagine così vivida dell’India da poter dire di averla vissuta e da cui è difficile riemergere una volta concluso.
“Il gioiello della Corona” è un romanzo che contiene diversi altri romanzi e multipli livelli di analisi che spaziano dal rapporto tra civili indiani/inglesi, passando per l’analisi del ruolo della donna nella società patriarcale, sino ai numerosi cenni storici alla politica del Mahathma Gandhi e di Nehru. La chiave di lettura centrale è senza dubbio la riflessione sul razzismo e sul colore della pelle, come unico elemento in grado di determinare il destino degli uomini indipendentemente dalla volontà o dai propositi. Eppure non si tratta di un romanzo drammatico o privo di speranza. Nel finale, infatti, si fa largo un personaggio, che supponiamo essere il protagonista del secondo volume della tetralogia, che incarna la speranza in un mondo migliore.
“Nel buio, dopo essermi appena lasciato alle spalle tutti quei problemi, mi ritrovai a riflettere sull’immensità e sulla tragica, irresistibile bellezza dell’India.”
a cura di Silvia Ognibene