Scrivere per immagini: quando le parole passano dalla pittura. Il Corona Diary di Renzo Ferrari
Fin dalla notte dei tempi, si sa, quando la parola scritta non era accessibile a tutti si comunicava per immagini. Come dimenticare gli affreschi nelle grotte dei primitivi che sono stati il veicolo di frasi, espressioni, discorsi per decenni? Un grande artista come Renzo Ferrari ripercorre con il suo nuovo progetto “Corona diary”, le sensazioni, le immagini, la realtà che abbiamo vissuto. E lo fa attraverso una serie di opere racchiuse in un volume (edito da Skira editore) che preannunciano quello che poi si può vedere dal vivo nella mostra dedicata (in corso a Lugano alla Galleria Colombo fino al 10 ottobre). Ci piace pensare che queste parole non dette, ma traslate verso le immagini, possano colpire gli occhi, le orecchie e anche il tatto, ed essere il veicolo comunicativo di una condizione umana che tutto il mondo ha vissuto.
Ecco la nostra intervista a Renzo Ferrari.
Cos’è Corona diary?
Nel periodo di forzata clausura ho cominciato un lavoro, sotto forma di ideale diario, che postavo quotidianamente su Facebook e che ha avuto una sua prima sintesi tra marzo e aprile scorsi attraverso un video pubblicato, poi, su Youtube e nella edizione online del festival Poestate 2020 di Lugano.Tentavo, in questo caso, una sorta di sinestesia dei linguaggi di musica e pittura.
Se dovesse scegliere, tra queste, l’opera più significativa del suo racconto per immagini. Quale sceglierebbe? Perché?
PerEgon Schieleè un’opera che reca testimonianza della nostra pandemia in modo indiretto, con un omaggio al pittore austriaco Egon Schiele morto di febbre spagnola nel 1918 all’età di 28 anni.Si tratta di un grande formato dove il cromatismo è molto acceso e lo spazio attorno alla profilatura della testa di Egon, con due piccolissime pupille rosse che stanno per spegnersi, è di un giallo acidulo invaso da una fioritura di rose, metafora del virus.
Sfogliando “Corona diary” tra le varie opere salta all’occhio su “Selfie”. Ci racconta come nasce l’idea e in che momento l’ha realizzata?
Molto spesso mi sono interrogato, con una suite di selfie, di cui due in particolare, scelti per la mostra e il catalogo: un ironico incoronato e un visage, groviglio di segni, accompagnato da un collage di guanti sanitari reali.
Nei libri, solitamente in quelli di storia dell’arte, l’opera viene accompagnata da didascalie di critici o addetti al settore che lavorano con le parole e che spiegano l’intenzione dell’artista descrivendone l’opera. Ora vogliamo giocare in casa e chiedere a lei di scegliere una delle opere di “Corona diary” e interpretarla a suo modo, come se vedesse il dipinto da fuori.
Il lavoro del critico è “ingrato” (oggi è sostituito dai curatori) per la ragione che è ardua la traduzione in parole di un linguaggio preverbale quale la pittura. Da parte mia penso che l’artista che interpreta la propria opera incontra le stesse difficoltà del critico.Quanto il non descrivibile è la parte più profonda e irrazionale del proprio lavoro dove agisce molta casualità ed è su questo margine che il fruitore esercita la sua soggettività di lettura.
La pittura dice. L’arte rappresentativa parla. Se dovesse definire con una sola parola questa raccolta di opere, quale userebbe e perché?
Empatia.
Le tecniche utilizzate in Corona diary hanno un legame particolare con le emozioni e le intenzioni che voleva venissero trasmesse da quest’opera?
Colore, segno/disegno sono veicoli delle emozioni.
Le opere rappresentative racchiuse in un libro, in un catalogo. Come possono delle pagine rappresentare la potenza iconografica delle emozioni? Nello spazio limitato di un libro, si riesce a esprimere tutto questo?
Il catalogo è una testimonianza, CORONA diary, di un periodo che ha segnato duramente la nostra condizione. Vedere la mostra lo ritengo però un valore aggiunto.
a cura di Antonella Dilorenzo