Il racconto della domenica: L’orso di Eva Luna Mascolino

 Il racconto della domenica: L’orso di Eva Luna Mascolino

Illustrazione di Alicia Del Rey

Una decina di anni fa mi imbattei in un uomo che credeva di vivere con un orso.

Secondo lui, il cucciolo di grizzly gli era apparso in casa dopo l’ultimo trasloco e, con il trascorrere dei giorni, si era affezionato all’appartamento, trasformandolo nella propria dimora fissa al pari dell’inquilino legittimo.

L’orso non era granché di compagnia, perché pigro e taciturno, ma c’erano volte in cui andava a prendere una birra in frigo e si sdraiava vicino all’amico bipede mentre seguiva una partita di football. C’erano anche notti in cui l’orso soffriva d’insonnia e brontolava gravemente per ore, alzandosi e ricoricandosi sul divano del soggiorno a intervalli press’a poco regolari e causando al vecchio sofà a tre posti sofferenze sempre maggiori.

Comunque, la vita del padrone di casa, Hiroshi Hasegawa, non era stata particolarmente sconvolta dall’arrivo del grizzly, dato che quest’ultimo non si era mai avventurato oltre la porta d’ingresso neppure di nascosto. Neppure quando Hiroshi Hasegawa aveva avuto un meeting di lavoro che l’aveva fatto rincasare ben tre giorni dopo essersi tirato la porta dietro di sé. Pertanto, le sporadiche occasioni in cui l’impiegato bancario aveva visite di familiari, di amici o di colleghi, l’orso era così discreto da dissolversi temporaneamente per tutto il tempo dell’incontro, o da chiudersi a chiave in camera da letto. Appariva solo quando Hiroshi Hasegawa lo chiamava per nome tre volte, assicurandogli che i due fossero di nuovo soli.

Non si trattava di un animale maleducato e scontroso, e Hiroshi Hasegawa constatò che non era nemmeno capriccioso: capiva l’importanza di lasciarsi lavare e spazzolare settimanalmente e una mattina al mese si prestava, senza ribellarsi, al controllo pulci e a qualche altro generico accertamento medico di cui Hiroshi Hasegawa si occupava personalmente, servendosi delle poche nozioni in merito che aveva letto su internet. I suoi vicini di casa e i conoscenti più intimi avevano forse compreso che qualcosa di anomalo si verificava in quella casa. Non che si aspettassero di essere presentati a un orso bruno adulto e dal pelo lungo e folto, però nutrivano dei dubbi piuttosto fondati sulla sanità mentale di Hiroshi Hasegawa.

Io non avevo mai sentito parlare di lui finché non lo incontrai in un pub, una sera che la mia ragazza aveva una forte cefalea e aveva insistito perché la lasciassi riposare. Era un sabato di agosto e io ne avevo approfittato per girovagare un po’ per le vie e bere qualcosa nel primo locale decente che avessi trovato. Ne scelsi uno davvero grazioso, illuminato a giorno con lampadine che emanavano un chiarore vagamente rosa. C’era una band locale che improvvisava alcuni brani blues e, dall’altra parte del pub, una mini-pista da ballo ancora vuota. Mi andai a sedere al bancone, ordinai un drink e constatai con piacere che i frequentatori del posto non erano né chiassosi, né volgari: avrei potuto passare qualche ora serenamente, peraltro in compagnia di buona musica. O almeno così credevo.

Poco dopo, infatti, mi si avvicinò un signore sulla trentina, che barcollava e che aveva lo sguardo perso nel vuoto: non era difficile immaginare che avesse alzato un po’ troppo il gomito. Mi sarebbe caduto addosso, se non fossi riuscito a farlo reggere in piedi a stento.

Gli preparai subito uno sgabello su cui accasciarsi e gli chiesi:

«Si sente bene?»

«Non del tutto, ma grazie», replicò quello. Mi sembrò che avesse una voce ben più controllata di quanto mi sarei aspettato.

«Non avrà esagerato con l’alcol?»

L’uomo sollevò gli occhi per la prima volta a fissare i miei.

«Sono astemio.»

Annuii senza ribattere e ordinai per lui un bicchiere d’acqua frizzante.

«Almeno questa la berrà, no?»

Lui fece sì con il capo e io gli porsi il bicchiere.

«La ringrazio» mi disse franco, «avevo proprio bisogno di qualcuno che fingesse di prendersi cura di me.»

«Veramente io volevo sul serio…»

«Lo so, lo so, non ha bisogno di giustificarsi.»

Io, frastornato, non seppi come rispondergli.

«Mi chiamo Hiroshi Hasegawa» proseguì quindi lui. «Forse avrà sentito parlare di me.»

«Mi spiace, ma no» ammisi.

«No? Mai?»

«No», ripetei. «Mi perdoni.»

«Niente scuse, è meglio così.»

«E perché mai dovrebbe essere meglio?», mi informai.

Quell’uomo cominciava a incuriosirmi, tanto più che diceva di non essere ubriaco.

«La gente sta alla larga da me, di solito. È convinta che io sia uno spostato.»

«Tutti ci ritroviamo a essere un po’ spostati rispetto a dove vorremmo o dovremmo trovarci, prima o poi» buttai lì. «Sembra una sciocchezza, ma fuor di metafora è così.»

Hiroshi Hasegawa mi squadrò con sufficienza.

«Sembra uno che la sa lunga.»

Scrollai le spalle. «Non proprio, ma ci si prova.»

«È anche uno che se ne intende di orsi da appartamento?», mi domandò.

Strabuzzai gli occhi. «Non mi pare di avere mai…»

«Io ne ho uno, sa?» continuò Hiroshi Hasegawa. «L’ho chiamato Sasha. Come il protagonista di quel film, ha presente?»

Non avevo presente, però evitai di ammetterlo e mi limitai a sorridere.

Trascorsi il successivo quarto d’ora ad apprendere ciò che ho riportato in apertura su Hiroshi Hasegawa e su Sasha: l’inizio della loro convivenza, la discrezione del grizzly, il suo accanimento notturno nei confronti del sofà a tre posti e tutto il resto.

Quando Hiroshi Hasegawa terminò di descrivermi la propria condizione, sospirò e tacque, rigirandosi fra le mani il bicchiere ormai vuoto.

«Vuole ancora dell’acqua?» mi offrii, per rompere il silenzio.

«Va bene così, grazie.»

Lui tornò ad accasciarsi sul bancone e, dopo un po’, disse sospirando:

«Questa storia mi sta distruggendo».

Lo osservai con attenzione e constatai che aveva un aspetto debilitato.

«Suvvia, avrebbe potuto andarle peggio», provai a rassicurarlo.

«In che senso?»

«Non so, avrebbe potuto convivere con un cobra reale piuttosto che con un orso, per esempio.»

«Ah, voleva dire questo» mormorò lui, dispiaciuto.

«Che altro, sennò? Non è la presenza di quel grizzly a impensierirla?»

«Neanche per sogno!» esclamò Hiroshi Hasegawa, rianimandosi.

Io aggrottai le sopracciglia.

«Allora non sono sicuro di aver capito bene» ammisi. «Il suo problema non è trovare un modo per liberarsi di Sasha?»

«Temo sia stato Sasha a liberarsi di me» si lagnò lui, sempre più abbattuto. «È da tre giorni che è scomparso. Volatilizzato senza preavviso. E senza uno straccio di motivo!»

Io accennai una smorfia. Così era quello il cruccio di Hiroshi Hasegawa: la sua ossessione si era dileguata e lui non riusciva ad accettarlo.

«Adesso anche lei mi considera uno spostato, eh? Lo dica pure apertamente, ci sono abituato.»

Nella sua voce avvertii un’amarezza profonda, che mi fece desistere dal ridere di lui.

«Non la considero uno spostato» lo tranquillizzai. «Anzi, la considero un uomo che è appena tornato alla normalità. Lei si è liberato di una visione che non le dava pace, dovrebbe essere fiero di sé stesso.»

Hiroshi Hasegawa scosse la testa.

«Lei non capisce, caro signore. Io a Sasha volevo bene, mi ero affezionato a lui. Lo trattavo con rispetto, lo aggiornavo sulle notizie più recenti, gli raccontavo del mio lavoro. Non avevo segreti per lui e mi prendevo cura della sua salute con diligenza. Perché avrebbe dovuto abbandonarmi senza nemmeno salutarmi?»

Cosa avrei dovuto rispondergli? Cosa avrei potuto saperne, io?

«Può darsi che Sasha si sia semplicemente stancato di vivere con lei» ipotizzai. «Magari era un esemplare volubile, sa. Può capitare.»

Non mi veniva in mente nemmeno un caso in cui un evento del genere sarebbe realmente potuto capitare, però quella era l’unica maniera di confortare Hiroshi Hasegawa di cui disponevo: dovevo convincerlo che tutta la vicenda fosse stata assolutamente normale e che si fosse conclusa altrettanto normalmente.

«No, non può essere» balbettò lui. «C’è solo un motivo per cui Sasha se la sarebbe svignata così. Ci ho pensato poco fa, prima di incontrare lei. Non so se sia la giusta interpretazione dei fatti, ma è l’unica cui mi riesce di pensare.»

«Sarebbe a dire?», lo incalzai.

«Lei conosce la storia del soldato e della principessa?»

«No», confessai.

Hiroshi Hasegawa mi chiese di procurargli un altro bicchiere d’acqua: lo sorseggiò con lentezza, poi lo poggiò con forza sul bancone e mi pregò di starlo a sentire.

«In poche parole, una volta un re aveva dato una festa nel proprio palazzo e un giovane soldato che era di guardia aveva incrociato lo sguardo della principessa del regno. Se ne era innamorato perdutamente e, quando poi l’aveva incontrata faccia a faccia, le aveva dichiarato il proprio amore. La principessa gli aveva promesso che sarebbe stata sua, se lui l’avesse aspettata per cento notti e per cento giorni sotto il balcone, e il soldato aveva obbedito. Nonostante il freddo, nonostante la pioggia, nonostante il sole cocente e nonostante il forte vento, era sempre rimasto al proprio posto, mentre la principessa lo osservava di nascosto dalla propria stanza. Poi, però, allo scoccare del centesimo giorno, il soldato si era alzato di lì ed era andato via.»

Hiroshi Hasegawa si interruppe e tornò a rigirarsi il bicchiere fra le mani, come se fosse immerso in una complicata meditazione.

Attesi a lungo un qualsiasi chiarimento, ma lui non accennava a riprendere la conversazione. Pertanto, mi schiarii la voce.

«Ebbene? Quale sarebbe il nesso fra questa storia e il suo Sasha?»

Hiroshi Hasegawa sembrò ricordarsi di me in quel momento. Mosse la testa più volte avanti e indietro, poi, finalmente, mi spiegò:

«Sasha è sparito allo scoccare del centesimo giorno da quando era arrivato».

«Ah.»

«La mia teoria è che avesse paura di non diventare mai un mio coinquilino a tutti gli effetti. La sua natura effimera e immaginaria costituiva un grande limite, per lui. Aveva accettato di buon grado la mia disponibilità e con me stava bene, però era terrorizzato all’idea di essere rifiutato da parte mia, prima o poi. Voglio dire, poteva darsi che io prendessi moglie, che cambiassi di nuovo appartamento o che lo dividessi con qualche mio conoscente. Che ne sarebbe stato di lui? Avrei dovuto chiedergli di andare via, di scomparire definitivamente e non per qualche ora soltanto.»

«Certo.»

«È per questo che ha preferito dileguarsi prima che glielo imponessi io. Sapeva che io mi sarei rammentato della storia della principessa e del soldato e che avrei inteso il senso della sua azione: anche il soldato era andato via per paura che la principessa, alla fine, non mantenesse la propria promessa di diventare sua.»

«Doveva trattarsi di un orso molto intelligente», ne conclusi.

Lui confermò la mia supposizione.

«Era anche sensibilissimo, glielo garantisco. Sarà difficile riabituarmi a essere il solo abitante di quella casa», mugugnò.

Provai una sincera compassione per lui, sebbene lo considerassi ancora un po’ strano.

Mi avvicinai nel tentativo di abbracciarlo, ma Hiroshi Hasegawa si scostò con uno scatto e si alzò.

«Basta così» decretò. «È tardi, sarà il caso che vada.»

Mi piantò in asso senza un saluto di più. Io lo seguii con lo sguardo finché non uscì dal locale e sparì. Mi attardai per circa mezz’ora ancora, poi rincasai anche io.

Era già notte fonda quando infilai la chiave nell’uscio dell’appartamento e mi accorsi che era già aperta. La faccenda mi sorprese, tanto più che immaginavo che la mia ragazza stesse dormendo già da un pezzo. Attirato verso il bagno da gravi e soffocati rumori, mi accorsi invece che lei era ben sveglia e che stava lottando con tutte le proprie forze contro un orso bruno di dimensioni notevoli.

Nel momento stesso in cui urlai per la sorpresa e per il terrore, il grizzly spinse a terra la mia ragazza con una zampata e lei perse immediatamente i sensi.

«Ritrovato l’orso scappato dallo zoo comunale

Polizia e vigili del fuoco sono stati sguinzagliati da più di 48h nel tentativo di ritrovare Sasha, l’orso bruno scappato dallo zoo a causa di una leggerezza del guardiano notturno. L’esemplare è stato trovato stanotte, grazie alla telefonata di due studenti universitari.

La giovane Kaori Matsuda deve aver aperto la porta quando ha sentito dei brontolii sul pianerottolo, forse pensando che il proprio ragazzo stesse rientrando un po’ brillo e che non riuscisse a suonare il campanello. Ritrovatasi faccia a faccia con il grizzly, ha cercato di affrontarlo ma ha avuto la peggio.

È stato Ichiro Hayashi, suo fidanzato e coinquilino, ad avvisare le forze dell’ordine appena in tempo: grazie al suo intervento, Sasha è stato riportato allo zoo nel giro di un’ora e Kaori Matsuda è stata ricoverata d’urgenza.

I medici hanno assicurato che sopravvivrà, ma nulla di più è trapelato circa le sue condizioni di salute dal momento in cui l’ambulanza l’ha portata in sala operatoria.»

Eva Luna Mascolino

Blam

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