Tornare a casa di Dörte Hansen: un intenso viaggio nel mondo rurale che non c’è più. Recensione
È stato definito un evento letterario, un meraviglioso monumento ai piccoli paesi di un tempo, un grande racconto di delicata malinconia. L’ultimo romanzo di Dorte Hansen, scrittrice tedesca pluripremiata, ha riscosso grande successo in patria tanto da suscitare l’interesse della casa editrice Fazi Editore che ne ha pubblicato la traduzione, uscita a fine giugno nelle librerie. Da cosa nasce la fortuna di questo romanzo?
Tornare a casa: la trama del libro di Dörte Hansen
Attraverso il sapiente passaggio dal tempo presente al passato va delineandosi, capitolo dopo capitolo, la vita degli abitanti di un piccolo paese immaginario situato nella Frisia settentrionale, in Germania. Brinkebull, ai tempi della ricomposizione fondiaria del 1964, è un paesino come non ne esistono più: pochissime auto, molti bambini che scorrazzano per i campi con il cappuccio calato in testa e i piedi immersi nel fango, poca scelta per rifornirsi all’unica bottega del paese di Dora Koopmann e un unico divertimento condiviso: partecipare alle feste organizzate dall’oste Sonke Feddersen e da sua moglie Ella, i gestori della locanda di paese. Dai due coniugi e dalla loro unica figlia Marret ha inizio il racconto delle vicende famigliari narrate da Ingwer – figlio di Marret e protagonista del racconto. Ingwer, cresciuto a Brinkebull e apparentemente destinato al lavoro di oste o di contadino, riesce a farsi strada nel mondo nuovo divenendo professore universitario in città. Ormai adulto, è tuttavia costretto a rientrare nel paese di origine per chiudere i conti con il passato, allineare i ricordi e le supposizioni, svelare i segreti che da piccolo gli erano inaccessibili.
“Conoscendosi sarebbe semplicemente tornato indietro. Sarebbe andato avanti come sempre: restando fermo. Avrebbe atteso la prossima era glaciale come un masso erratico, finché un ghiacciaio non l’avesse finalmente schiodato.”
Il ritratto di un mondo che non esiste più: i personaggi
Il ritorno in paese di Ingwer rappresenta l’occasione per ripercorrere il passato e far riaffiorare i ricordi delle figure più caratteristiche che abitavano Brinkebull. Marret Feddersen, madre naturale del protagonista e affetta da una non meglio specificata malattia psichiatrica, spicca come uno dei personaggi più intriganti e meglio raffigurati del romanzo.
“Marret era qualcosa di fugace, in balia dei venti, che cambiava forma di continuo, duna di sabbia, nuvola, mercurio, non aveva confini. Non era fatta di pelle soda.”
Ma anche il solitario e ombroso maestro Steensen, unico insegnante della classe mista elementare, che con metodi educativi sgarbati e risoluti selezionava gli studenti meritevoli di avviarsi verso l’uscita del paese, “lontano da Sonke Feddersen e dalla sua locanda, da quella piccola stalla piena di bestiame”.
“Il Nord ti riduceva così, a forza di tempeste, di tutta quella oscurità, se non appartenevi ai più robusti diventavi o un poeta o un ubriacone”
La scrittura di Dörte Hansen
Dorte Hansen è indubbiamente riuscita a riportare in vita, con intensa malinconia, un mondo rurale che non esiste più perché travolto dalla modernità. La vita di provincia sospesa tra declino e sopravvivenza di sé viene velocemente soppiantata dall’arrivo del cemento, della produttività a basso costo, delle opere di ingegneria che disperdono i valori antichi degli abitanti del luogo, abituati alla fatica e al lavoro senza sosta.
La scrittura sapiente della Hansen tratteggia una particolare espressività, volti segnati dalla fatica del lavoro nei campi, schiene piegate su una terra morenica battuta da venti incessanti. Le descrizioni del paesaggio, della natura e delle glaciazioni che hanno modellato nei secoli le terre della Geest, ricordano i dipinti fiamminghi e sanciscono passaggi di rara intensità.
Il clima malinconico che pervade le pagine del romanzo sancisce perfettamente la chiusura di una stagione, di un’epoca, aprendo lo sguardo verso un futuro ancora indefinito e incerto.
“Sembrava essere fatto della stessa sostanza di quelle terre. Un uomo morenico, sospinto e scalfito, segnato nell’anima dall’azione di antichi ghiacciai, del vento e della pioggia. Come Gonke neanche lui aveva il talento della leggerezza, non era fatto per i voli ad alta quota. Il suo elemento era la terra. Sabbia portata dal vento”.
a cura di Silvia Ognibene