Il racconto della domenica: Levante, tramontana (Forse una storia d’amore) di Giorgio Pozzessere
Dovevano giungere e si sarebbero salvati, forse.
Dovevano solo sfiorare gli Appennini e arrivare al fiume.
Dovevano fare, scrivere e pubblicare per conservare un brandello di civiltà. Nessuno avrebbe mai letto le loro cose, ed era giusto così e non aveva nessuna importanza: scrivere era l’importante, fare era la salvezza, andare era la strada.
Dovevano scambiare qualche parola ogni tanto, ridere e fare l’amore una volta, non di più, per sperare di mettere sotto sale la loro umanità.
Che si fa adesso?
Si va.
Sono stanca.
Bisogna andare comunque.
E quando ci dobbiamo fermare?
Mai.
Lo so.
Camminavano lentamente, un piede avanti all’altro sull’asfalto lucido e curato. Il sole era alto, eppure non faceva caldo, solo l’asfalto era bollente. Camminavano cercando il silenzio, immersi nella selva di rumori e di smog, di persone e di musica assordante. Il mondo era morto e loro lo sapevano, ma dovevano comunque andare, seguire la propria strada e vivere, in essa, il momento: questa era la loro unica salvezza.
Guarda, un brandello di celeste!
Si fermarono; lui alzò lo sguardo per un istante.
Bellissimo.
Si abbracciarono, stando attenti a non sfiorarsi, a non toccare le parti sensibili: dovevano resistere.
Andiamo ora.
Sì.
Continuarono a camminare. La velocità non era importante; nulla era importante, solo resistere. E arrivare al fiume.
Ricordi quando ti piacevano le foto di strade asfaltate e di palazzi di vetro?
Sì.
Non ti manca?
No. Mi manca il verde, ora.
Anche a me.
E il silenzio.
E avere il tempo di riflettere e studiare bene il da farsi, ti manca? La lentezza, dico.
Sì, è ciò che mi manca di più.
Anche a me.
Ma dobbiamo andare. Se non rapidi, costanti.
Lo so.
È la nostra missione.
Sì, il nostro scopo, la nostra salvezza.
Si trovarono oltre l’Archiginnasio, vicino alla porta. Avevano superato la strada più pericolosa, la strada affollata dagli Altri, piena degli Altri, passando per le stradine secondarie che puzzavano di piscio, di serate finite in vomito, camminando in tondo più di una volta. Dovevano stare molto attenti, non dovevano farsi scoprire dagli Altri.
Mi manca pure vedere l’Archiginnasio.
Sì, anche a me. Ma è troppo pericoloso, adesso.
Dici che ci seguono?
Sì, ne sono certo.
Ma siamo così insignificanti, così piccoli. Perché perdono il tempo con noi?
Siamo gli ultimi, ecco perché. Manchiamo solo noi. Solo noi. E poi avranno tutto il mondo.
Non lo possiamo permettere. Dobbiamo resistere.
Sì…
Quando ritrovi la tua forza sei fantastica, unica.
Lei sorrise, orgogliosa. Superarono la porta e presero lo stradone, fissando l’asfalto.
Mi mancano pure le buche.
Già, sapevano di vero.
E di morte.
Guardarono le macchine che sfrecciavano, attenti a non farsi scoprire. Si guardarono negli occhi.
Un tempo ero innamorato delle auto. Dei fari, del metallo della carrozzeria. Le riconoscevo da lontano.
Quando eri ragazzo?
Quando ero felice.
Da bambino.
Sì.
Eri proprio come gli Altri, allora.
Gli Altri prima non erano così. Eri libero lo stesso.
Ti bacerei subito, disse lei, guardandolo negli occhi.
Le auto sfrecciavano, il bus 33 andava lentamente, satollo di persone. Il ragazzo si girò rapido, mostrando la nuca rasata, nascondendo il volto, coprendo la ragazza. Uno sbaglio, e tutto sarebbe stato vano.
Vieni. Qui è troppo pericoloso.
Dici?
Ma non hai visto? Se qualcuno in quel bus ci scopriva, sarebbe finita per me, per te, per noi.
Per il mondo.
Sì, anche per il mondo. Ma noi resisteremo. Noi, soli, ce la faremo.
Sì.
E porteremo una nuova resistenza. La popoleremo. Noi e i nostri figli.
Mi piaci quando corri tanto.
Perché, corro tanto?
Prima dobbiamo sopravvivere. Prima dobbiamo giungere.
Lei rimase in silenzio e annuì. Andarono verso l’interno, facendo tutte le strade più squallide e solitarie, nella speranza di arrivare in tempo. Una moto sbucò dall’incrocio e prese la loro stessa via. Lui, rapace, prese la prima traversa che vide libera, stringendo la mano della ragazza. Girò a destra, poi a sinistra. Il rombo era lontano, la carrozzeria verde non si vedeva. Poi, la moto svoltò.
Cazzo! Ci hanno scoperti!
Corriamo!
La moto si avvicinava sempre di più. I due non sapevano che fare. Lui buttò la ragazza contro il muro e la strinse, facendo attenzione a coprire le parti identificabili.
Veloce, non dobbiamo far vedere il volto.
No, per nulla al mondo.
Tranquilla, andrà tutto bene. Ce la faremo. Ho un’idea, disse lui.
E la baciò con rabbia e foga, come aveva sempre desiderato, proprio mentre la moto li raggiunse e rallentò. Il casco si girò verso di loro e rimase a guardarli, scosse la testa e andò oltre, sfrecciando. I due rimasero ancora un po’ così, stretti, chiusi nel mondo delimitato dalla loro passione.
Non qui, dobbiamo resistere. Ricordatelo. Siamo i soli.
Sì, hai ragione. Dobbiamo resistere.
Si staccarono, si tennero per mano, tornarono sulla via, seguendo la linea rossa sulla mappa. Era molto rischioso, ma era anche l’unica possibilità. Rimasero in silenzio, facendo meno rumore possibile, respirando lentamente, ascoltando i refoli di vento.
Senti? Questo è il Levante, disse dopo un po’.
Come fai a saperlo?
Ci sta dicendo che dobbiamo fare in fretta e che non siamo soli.
Che lui ci salverà?
Sì, ci spingerà lui. Bisogna avere fiducia.
Andarono mano nella mano, osservando ogni macchina che si avvicinava, baciandosi ogni volta che vedevano da lontano gli Altri, con sempre più bramosia, con sempre più foga. Era rischioso e loro lo sapevano, e loro si nutrivano di questo rischio.
Vieni per di qua, disse lei dopo un po’.
Sei pazza? È troppo rischioso. Ci scopriranno!
No, fidati. Vuoi salvarti?
Svoltarono a sinistra. Presero strade che il ragazzo non aveva mai fatto, non aveva mai visto. Spalancò gli occhi in preda al terrore.
Dove mi porti?
Shhh! Abbassa la voce! Da quanto tempo non scrivi qualcosa? Stiamo perdendo la nostra umanità.
Il ragazzo si rese subito conto che aveva ragione.
No, mai, disse.
Anche se avremmo dovuto farlo prima, quando era meno rischioso.
Dovevano scrivere, andare, fare, scrivere, scrivere, scrivere, andare, anche se non avevano nulla in mente, anche se non avevano niente da dire. Ma dovevano farlo, avevano il bisogno, avevano la necessità di farlo: era la loro unica cura. Non li avrebbe salvati, ma li avrebbe preservati fino al fiume. Era la loro unica possibilità.
Ecco, fai finta di niente. Comportiamoci come gli Altri.
Sì.
Ce la faremo.
Lo so.
Entrarono canticchiando e ridendo di gusto, facendo attenzione a non farsi riconoscere. Salutarono con un sorriso vago tutti, senza lasciare ricordi, ordinarono due caffè macchiati, si sedettero e presero i loro smartphone. Scrissero in silenzio, senza mai alzare il volto, per dieci minuti. Poi, presero il caffè, pagarono e tornarono sulla strada. Rimisero i cellulari, spenti, nelle borse. Era andata bene. Sarebbero arrivati, forse.
Ora possiamo andare più spediti.
Sì.
Manca poco ormai.
Sì.
Il sole era alto e la stanchezza si faceva sentire nelle gambe a ogni passo, a ogni buca che saltavano, a ogni salita che affrontavano. Mancava poco a San Luca.
Sediamoci, disse lei.
Solo due minuti.
Superarono il recinto malmesso che dava sullo stadio. Il paesaggio era bellissimo, l’asfalto e il cemento da lontano lucevano.
Sai che l’asfalto adesso dovrebbe avere una temperatura di 70°C?
Eri appassionato anche di strade? Di velocità?
Sì.
Eri proprio come gli Altri.
Sì, prima.
Lei sorrise e gli tenne la mano, pudica. Si guardarono negli occhi e sorrisero entrambi.
Guarda i colli. Non sono più belli del cemento delle lamiere dell’ocra del neon?
Lui la guardò, poi disse, Sì, molto.
Tutto questo si perderà.
No, si è già perso.
Rimaniamo solo noi.
Lui le sfiorò le dita; voleva baciarla, e fare l’amore, ma dovette resistere. Lei lo guardò.
Questo che vento è?
Tramontana.
Pensavo fosse lo stesso di prima.
Lei fu delusa.
No, ma dice la stessa cosa. Dobbiamo andare.
Sì, lei si illuminò, andiamo.
Raggiunsero la cima della collina in poco più di un’ora, stanchi e speranzosi, attenti, un piede davanti all’altro, con la lentezza necessaria per sopravvivere, baciandosi ogni volta che c’era bisogno, sfiorandosi ogni volta che ne avevano voglia. Era riconoscibile camminare in quel modo, ma solo così sarebbero rimasti sé stessi.
Bene, ora è in discesa. Ce la faremo. Bisogna avere fiducia. Bisogna sperare.
Sì, lo so.
Un tempo non avrei mai fatto tutto questo. Un tempo avrei attraversato questo spicchio di mondo in bus, con gli Altri, come gli Altri. Un tempo non avrei mai ascoltato le parole del vento.
Un tempo eri uno degli Altri.
Un tempo.
E poi cosa è successo?
Ho conosciuto te.
Lei lo guardò e andò avanti.
Anche io ti ho incontrato. Anche io sono cambiata. Sai, prima non avrei mai rallentato, prima avrei corso.
Come tutti.
Sì, come tutti.
Anche se hai sempre amato più leggere che scrivere.
Sì.
Tu non sei mai stata come gli Altri.
Il vento li spingeva dolce, il vento li indirizzava. Camminarono per circa un chilometro, in silenzio. Camminavano, camminavano, pensavano e camminavano, sognanti. Poi, giunsero.
Dai, un ultimo sforzo. La salvezza è vicina.
Il mondo.
Salveremo anche il mondo.
S’immersero nel verde e camminarono felici, senza guardarsi alle spalle, liberi.
L’asfalto, il cemento, le linee nette, i rumori, lo smog, l’ansia della modernità. Era tutto dietro l’angolo, eppure lontanissimo. Il ragazzo sorrise.
Qui non ci prenderanno mai, e la abbracciò. Seguimi, andiamo di qua.
Lasciarono la stradina brecciata e si immersero nella selva. Il vento parlava, il verde dipingeva l’ultimo scampolo di mondo intatto, di un’esistenza non spezzata dal senso di finitezza.
Raggiunsero il fiume che il sole era quasi all’orizzonte.
Ce la possiamo fare, ce la faremo.
Sì.
Si spogliarono. Il vento li accarezzava, il fiume li chiamava.
Sei bellissima.
Lei lo guardò con dolcezza, lo baciò con foga e lo buttò in acqua. Era ghiacciata, ma a nessuno importava. Erano felici, erano vivi; erano insieme. Erano nudi.
Uscirono altri da quelli che erano stati. Si guardarono, tremanti.
Siamo salvi.
Sì, siamo salvi.
Lui la baciò.
È il crepuscolo, sospirò.
Lei rise e gli saltò sopra. Fecero l’amore.
E divennero come gli Altri; furono felici, come gli altri.
Giorgio Pozzessere