Il racconto della domenica: Non sai quante cose vedrai da grande di Alice Rainis

 Il racconto della domenica: Non sai quante cose vedrai da grande di Alice Rainis

Visions: illustrazione di Juliana Duque

Papà lavora per la Philip Morris International. Io me lo sono sempre immaginato a confezionare pacchetti di sigarette. Infatti a Natale i regali li incartava lui, non la mamma. «Sei davvero portato, Giorgio» gli aveva detto una volta. Poi un giorno un mio amico di scuola mi ha fatto vedere un video su YouTube dove spiegano come fanno le sigarette. Quattordici minuti di video. Non c’era nessuno, solo braccia meccaniche che si muovevano avanti e indietro, tubi grandissimi ma anche piccolissimi, catene che andavano di qua e di là, cilindri metallici… allora ho pensato che se lì non c’era nessuno, era impossibile che papà faceva i pacchetti delle sigarette, così mi sono fatto coraggio e proprio adesso gliel’ho chiesto:

«Papà, ma qual è il tuo lavoro?».

Lui mi guarda incuriosito, da quando i miei si sono separati e vivo con mamma ho smesso di fargli domande, anzi ho proprio smesso di parlargli. Non mi sta antipatico, anzi. Ma da quello che ho capito, ha tradito la mamma con una “stronza cafona e d’altra parte non gliene è mai fottuto niente né di me né di te” e siccome la mamma non dice mai bugie io sono dalla parte sua.

È sicuro che la mamma non è una bugiarda, non lo dico io. Me lo ha detto nonna Rina, una domenica pomeriggio di qualche mese fa, quando siamo andati a trovarla per il caffè: «Una santa donna tua madre. Fin da piccola, mai una bugia, hai sentito bene? Mai una bugia. Mai un dispetto. Un cuore grande. E quel farabutto di tuo… non farmi dire cose. Gesù mi perdoni». Così mi ha detto, mentre mamma le rifaceva il letto nell’altra stanza. E io ci credo alla nonna perché lei è la prediletta di Don Antonio – si dice prediletta? O forse era protetta? – insomma, è quella che apre la chiesa al mattino e passa con il cestino delle offerte. C’è di mezzo Dio, e io lo so benissimo dalle lezioni di catechismo che l’ottavo comandamento dice “non dire falsa testimonianza”. Quindi, mia nonna la prediletta non mente, e la mamma non è una bugiarda.

Per questo ho scelto lei.

Subito dopo la separazione mi hanno portato nell’ufficio di una signora che non avevo mai visto. Me l’hanno presentata come la signorina Toso, a me faceva troppo pensare alla signorina Minù, quella del cartone animato che rimpicciolisce come un cucchiaino. Aveva i colori di nonna Rina ma sembrava più giovane. Andavamo dalla signorina Toso e lei mi faceva un sacco di domande. All’inizio quest’attenzione non mi dispiaceva, avevo capito che i miei genitori non volevano più vivere insieme e ho subito pensato che era per colpa mia, perché parlavo troppo e me lo ripetevano spesso: «Manolo, puoi stare zitto un momento? Manolo, un attimo Cristo santo, fammi finire ‘sta puntata di Un Posto al Sole, sei come tuo padre!» diceva la mamma alzando il volume del televisore. «Madonna Manolo, quanto chiacchieri, tutto tua madre,» diceva il papà roteando gli occhi, che mi faceva quasi impressione vedere tutto quel bianco attorno alle pupille. Allora la presenza della signorina Toso mi rincuorava, perché sembrava essere lì apposta per risolvere qualcosa che non sapevo ancora cos’era ma ero convinto che dipendeva da me. Di certo era una persona buona perché mi dava le caramelle. Dopo i primi tempi, però, le sue domande hanno iniziato a stancarmi, anche perché era difficile rispondere. Un po’ come quando ti chiedono se preferisci mangiare la pizza o guardare il film della sera per intero e puoi scegliere solo una cosa. In quei giorni era tutto così: cos’è meglio?, cos’è peggio?, chi fa questo?, chi fa l’altro?, chi dice più parolacce?, chi cucina meglio? Fino alla domanda più brutta: con chi preferiresti stare?

Siccome io alla mamma voglio moltissimo bene e siccome la nonna, protetta di Don Antonio, mi ha giurato che lei non dice mai bugie, io ho detto: «Con la mamma». Senza avere neanche il tempo di pensarci, mi sono così ritrovato a stare dalla sua parte e ho smesso di parlare con papà.

Ripeto, papà non mi sta antipatico, anzi. Fuma tantissimo e dice “porco giuda” ogni tre frasi, anche quando viene a prendermi sotto casa il sabato e non trova parcheggio e poi sale e dice: «Dai muoviti porco giuda che sono in seconda fila», e la mamma lo sgrida: «Ti prego Giorgio, ti prego. Non quando tieni tu il bambino». Però siccome penso che questa cosa di me che parlo è importante in questa separazione, tanto quanto la cafona, mi sono detto che non parlare almeno con uno dei due è l’unica cosa positiva che posso fare al momento.

Quando poco fa ho chiesto a papà che lavoro faceva, lui ha subito smesso di scrivere al computer portatile, addirittura lo ha chiuso, poi ha tirato fuori una sigaretta dal nuovo pacchetto che stava sulla scrivania, l’ha accesa con un fiammifero, ha dato un tiro profondo e, buttando fuori l’aria, mi ha risposto: «Sono un lobbista». Io non ho idea di che cos’è questo “lobbista”, però mi sembra una cosa pericolosissima. Lo so che fumare fa male perché ti fa venire il cancro ai polmoni ma questa parola mi fa pensare ad altre cose ancora più terribili. Non so perché ma mi viene subito in mente La Piovra, il telefilm che passa su RAI 2 il mercoledì e che in teoria non posso guardare ma che io guardo lo stesso mentre faccio finta di fare i disegni. Non ci capisco molto della storia ma mi fa paura. Come Chi l’ha visto. Solo che i personaggi sono finti e quindi poi non ci penso. Al massimo faccio qualche sogno che mi sveglia in piena notte. Ma ormai sono grande, non piango più quando mi sveglio tutto sudato nel buio della mia stanza.

Da quando il papà non sta più con la mamma, mi pare più alto e più grasso, o forse è perché lo vedo meno e perciò finisco per dimenticarmi le sue forme.

Non ho il coraggio di chiedergli cosa significa fare il lobbista allora gli chiedo: «Posso fare anch’io il lobbista da grande?». Lui mi risponde: «Certo, è un ottimo mestiere. Ti dà molte soddisfazioni, soprattutto se l’azienda per la quale lavori incarna i valori in cui credi». Mi perdo un attimo nella frase, non la capisco. Forse non sono stato attento abbastanza. Capita molto spesso durante quei sabati pomeriggio in oratorio. Sono un bambino distratto, me lo dice spesso la nonna Rina perché quando dormo da lei e facciamo le preghierine prima di andare a dormire, io tendo a dimenticarmi alcuni pezzi.

«E risplenda ad essi, Manolo. Risplenda. Ad. Essi.»

La cosa che mi piace di più quando sto dalla nonna è che a lei non sembra importargliene se resto a guardare la tv fino a tardi. Basta che dico le preghierine ed è contenta. Poi si addormenta e inizia a russare in meno di tre secondi. Il mio programma preferito è Giochi senza frontiere, faccio il tifo a voce alta, tanto lei non si sveglia, e mangio le caramelle Rossana, ne ha una scatola in ceramica pienissima e non finiscono mai. Poi sento gli occhi pesanti e la voce del conduttore si fa strana. Mentre sono lì che sto per addormentarmi faccio sempre lo stesso sogno, mi rivedo in salotto una sera in cui papà, rosso in faccia come un peperone, aveva urlato a mamma: «Ma perché non mi lasci in pace? Prenditi le tue cose e trasferisciti da quella perpetua di tua madre». Ecco, perpetua!, era la parola giusta.

«Però non vuoi che fumi?» riprendo.
«No, non devi iniziare a fumare e devi stare lontano anche dalle droghe e dall’alcool.»
«Va bene» sono ancora poco convinto ma faccio finta di niente e ritorno al Game Boy.
«Come mai vuoi saperne di più del mio lavoro? Scommetto che ti ha detto qualcosa tua madre… però le stava bene il lobbista quando mi ha incontrato… senza un cazzo di lavoro… Scusa Manolo, non dovrei usare queste parole davanti a te.» Ma davvero papà non lo sa che a scuola facciamo a gara a chi dice “cazzo” più volte? I grandi si preoccupano di cose che vedono solo loro e fanno una fatica mostruosa a vederne altre, come i folletti di nonna Ginevra, per esempio.

Nonna Ginevra è il contrario di nonna Rina, intanto è molto più grassa, bestemmia e so di sicuro che non va in chiesa e che non le piace Don Antonio. Lei non gioca mai con noi bambini perché è sempre impegnata tra i fornelli. Ogni volta che torno da casa della nonna, la mamma si lamenta sempre che i vestiti puzzano di fritto. Ha anche detto che è “un’esagerata”, che mi dà troppo da mangiare, che ha il vizio di comprare roba per un reggimento e che mette panetti di burro dappertutto. Io però giuro di non averla mai vista mettere un burro intero nel risotto! E comunque non mi interessa, sarà pure “un’esagerata” ma è un fenomeno nel raccontare storie. Mentre impasta e affetta con quelle grosse mani che ogni tanto guardo la fede nunziale e mi chiedo come abbia fatto a entrare nel dito e so che non potrà mai più uscire, lei parla parla parla. Tanto che mi sono detto di aver preso da lei questa cosa del parlare troppo, perché mio cugino Giovanni, che ha una nonna paterna diversa, è silenziosissimo. Ma assai proprio! Insomma, tra tutte le storie fantastiche di nonna Ginevra le mie preferite sono quella di Olivia la bambina alla quale hanno tagliato le mani perché le piaceva leggere la Bibbia e poi c’è quella dei folletti. Ma c’è un’enorme differenza tra Olivia e i folletti: la storia di Olivia è finta, i folletti sono veri. Ogni folletto ha un colore e alcune caratteristiche: c’è quello blu che è il folletto della notte e che non dorme mai. Ce ne sono tantissimi e sono piccolissimi e vivono sulle foglie. Io li vedo e ci gioco, ma ovviamente non tutti i bambini hanno questa fortuna di avere un sacco di folletti con cui giocare. Infatti, alcuni bambini non riescono proprio a vederli questi folletti e figurarsi papà. Quando gli dico di stare attento a non calpestare quel fiore perché c’è il folletto rosa che ci sta dormendo sopra, mi guarda con una faccia… come se non lo capissi che non mi crede. Non ci soffro perché so di essere molto fortunato, non tutti i bambini hanno gli occhi come i miei. Me lo dice sempre la nonna Ginevra: «Non sai quante cose vedrai da grande che gli altri non vedono».

«No papà, la mamma non mi ha detto niente. Te lo chiedo solo perché sono curioso.»
«Certo, certo scusami. E dimmi, ci sono altre cose che ti incuriosiscono del mio lavoro?»

O certo, avrei un sacco di altre domande… vorrei chiedergli con quante persone lavora, se ha un ufficio tutto suo con una poltrona grande, se gli ordini li dà o li riceve, se lo hanno mai minacciato con una pistola, se può fumare in ufficio, se le sigarette le paga, se un giorno mi insegna come si diventa lobbista.

Ma me ne sto zitto, perché se c’è una cosa che ho capito è che ai grandi non piacciono le domande.

Alice Rainis

Blam

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