Il racconto della domenica: Human Resource di Matteo Parmigiani

 Il racconto della domenica: Human Resource di Matteo Parmigiani

Illustrazione di Alicia Del Rey

«Prosegua pure» la invitai.
Alzò gli occhi e mi scrutò da dietro le spesse lenti, «Ho fatto un tirocinio di sei mesi in KMPG.»
«Poi?» Dio, che tortura; strappare informazioni a timide ventenni, a questa poi… un tempo almeno erano fighe. Mentre sciorinavano il solito copione potevo concentrarmi sulle tette, o tutt’al più, nei giorni in cui mi sentivo un po’ romantico, sugli occhi, prima di scendere  sulle zizze. Qui invece c’è solo il vuoto cosmico.
«Quella è stata l’ultima esperienza» mi rispose.
«Le faccio una domanda, perché crede non l’abbiano assunta dopo il tirocinio?»
«Non saprei.» Scosse agitata la testa e cominciò a mangiarsi le unghie. Si accorse di quello che faceva e, con un rapido scatto, nascose le mani sotto al tavolo.
Capii d’aver pigiato il tasto “panico”. Inutile continuare a perdere tempo, un bel calcio nel culo e arrivederci.

L’aspetto fondamentale era non dover mai essere sinceri, bensì fingere sempre. Non importava se il candidato fosse idoneo o no; nulla doveva trapelare. Perché poi? Non l’ho mai capito. Forse la risposta stava in quei noiosissimi libri su come essere dirigenti del personale. Se mai ne avessi letto uno, l’avrei scoperto.
E pensare che oggi il lavoro nelle Human Resource lo si studia anche in università. Come buttare soldi in cose inutili, insomma. Finire la Reggio Calabria mai, inventare facoltà nuove invece…

Tornai concentrato sulla povera vittima che avevo di fronte. Di lì a poco avrei mortificato il suo desiderio di trovare lavoro da noi. Meglio inserire il pilota automatico: «Come si vede tra dieci anni?» Domande da manuale, non vogliono dire nulla ma tolgono d’impaccio.
«Tra dieci anni? beh… »
Ragazzina titubante, non si era preparata.
«… vorrei una carriera da project manager!»
Ma per favore, «Bene, le faremo sapere.» Quest’ultima sgominava il campo.
Ci alzammo insieme e le strinsi la mano, «Ci faremo vivi noi nel caso il suo profilo sia idoneo. Intanto grazie.» Amavo quella parte del copione.
Le guardai il culo mentre si avviava all’uscita. Neanche quello era granché. Raccolsi i miei due cellulari, l’iPhone di ultima generazione, per la vita privata, e il vecchio Blackberry per il lavoro. Non che ricevessi tutte queste chiamate, ma averne due faceva figo. Durante i colloqui li tenevo sul tavolo uno sopra l’altro. Un messaggio preciso per chi mi stava di fronte: “ho troppo da fare e pochissimo tempo da perdere con te”.

Uscii e raggiunsi la saletta del coffe break. Claudio era già lì.
«Com’è andata?» mi chiese, inserendo la chiavetta.
«Per me corto e senza zucchero.»
«Parli della tua vita sessuale?»
«Non sapevo che fuori da lavoro facessi il cabarettista,» premetti il pulsante per selezionare il caffè. Il bicchierino bianco comparve nella bocca quadrata del distributore e una cascata di liquido nero gli cadde dentro.
«Allora?» riprese Claudio.
«Un’altra neolaureata che non sa cosa fare nella vita. Il guaio è che se ne accorgono solo dopo aver versato tutte le rette per Lettere e Filosofia.»
«L’altro giorno è venuta questa ragazza» cominciò Claudio selezionando il suo caffè, «aveva una di quelle sciarpe che sembrano keffiyah…»
«Ti prego» lo interruppi.
«La gente vive proprio fuori dal mondo… per fartela breve, questa si siede e cominciamo il colloquio. Ci mette dai tre ai cinque minuti ogni volta per formulare anche le risposte più banali.»
«Che hai fatto?»
«Ho sbottato, che dovevo fare? La fermo e le dico: “Ho bisogno di gente svelta, non assumo lumache”.»
«Quando sono così, è un vero strazio.»
«Figurati che lei è scoppiata a piangere.»
«Ma va! E che le hai detto?»
«Le ho dato un fazzoletto di carta, le ho indicato il bagno e le ho detto che quando si fosse ripresa poteva accomodarsi fuori.»
«Hai fatto bene. Devono capire che noi qui mica cazzeggiamo. Il mercato è rapido, crudele.». Schioccai le dita mentre gli dicevo questo. Amavo schioccarle, in pausa caffè, parlando di quanto il mercato fosse spietato.
In quel momento l’amministratore delegato varcò la soglia della saletta; «Beh, allora?» ci riprese. Avrà avuto sui settant’anni e nonostante ciò mandava avanti – almeno lui credeva – una società di consulenza informatica per aziende.
«Riprendiamo subito, dottore» disse Claudio. Nonostante non avessimo finito i caffè, gettammo i bicchierini nel cestino e ci avviammo verso i nostri uffici.
«Mi servirebbe… » ci richiamò.
Ci voltammo sull’attenti, «Dica, dottore» esclamammo quasi all’unisono.
«…dovremo assumere una tirocinante, possibilmente di bella presenza, da affiancare al direttore delle vendite» disse.
«Una stagista per il sales manager» intervenne Claudio.
«Che?» disse l’amministratore stranito.
«Il direttore delle vendite» commentai io.
«Io che ho detto?»
«Appunto,» dissi cercando di concludere al più presto quella discussione.
«Mi sembrate scemi questa mattina» commentò il vecchio, «fatemi sapere.»
«Va bene, CEO» rispose Claudio. Lo guardai con la stessa pietà con cui si guarda una scimmia al circo.
«Chi?» domandò l’amministratore.
«Nulla, nulla» tagliai corto spingendo Claudio fuori.

Human resource_Illustrazione Francesca Galli
Illustrazione di Francesca Galli

Andammo nel suo ufficio e ci mettemmo alla scrivania.
«Ha detto bella presenza.»
«Magari su Linkedin troviamo qualcosa» disse Claudio.
«Proviamo prima tra i CV che ci sono arrivati.»
La spulcia dei curriculum era un rito che mi divertiva sempre molto. Claudio aprì una cartellina sul desktop. «Dunque, vediamo» disse facendo scorrere il mouse. Cliccò su un file che si aprì. «Che ne dici?» mi chiese. «Lingue antiche e culture orientali. Questa sa perfino il babilonese!»
Scoppiai a ridere picchiandomi la mano destra sulla coscia. «Dai, cestinalo» dissi infine.
Claudio aprì un altro file, «Giada, ventiquattro anni, accademia di fotografia.»
«Ridicola, avanti.»
«Simona, laureata a pieni voti in lettere classiche.»
«Sicuramente zitella, ergo cesso. Cestino e avanti.»
«Elena, master in criminologia.»
«Tutto ciò è grottesco.» Divertito, cominciai a masticare il tappino della bic blu.
«Elisabetta, diplomata in ragioneria
«Eh… forse.»
«Aspetta, si è diplomata a vent’anni.»
«E quindi?»
«Quindi l’hanno bocciata.»
«Cestinare immediatamente, non vogliamo tardone.»
Cliccò un altro file. «Senti questa» disse ridacchiando.
«Chi?»
«Laureata in beni culturali
«Mi cadono i coglioni a terra.»
«Però peccato, dalla foto sembra una bella fighetta. Si chiama Elisa Maglio
Scattai sulla sedia, «Chi?» lo spostai da davanti lo schermo e venni travolto dalla cruda verità: era lei.
«La conosci?» mi chiese Claudio.
«No, figurati. Ha fatto beni culturali, come potrei?»
«Ok, cestiniamo» concluse prima di passare al prossimo.

Perché aveva mandato il CV qui? Voleva farmi uno scherzo?
Passai il resto della giornata di cattivo umore, parlando il minimo indispensabile. Alla fine non trovammo un profilo che – a detta nostra – poteva risultare in linea e, verso le sette, dissi a Claudio che me ne sarei andato a casa.
«Di già?»
«Oggi non mi sento un granché.» Presi la giacca e mi avviai verso l’ascensore. Claudio mi seguì con lo sguardo, era impensabile uscire a quell’ora. Regola non scritta era quella di restare in ufficio, anche a cazzeggiare, almeno fino alle nove e mezza o dieci; faceva figo. Poi aperitivo coi professionisti di altre aziende o studi, a straparlare di metodi di recruiting.
Presi la metropolitana gremita di pendolari e in mezz’ora fui a casa. Quando aprii la porta la vidi stesa sul divano, intenta a sfogliare un libro di Cartier Bresson.
«Hai mandato il curriculum alla società dove lavoro?» la aggredii.
«Magari cercavate una segretaria, o un’archivista.»
«E che skills avresti, sentiamo?»
«Skills?»
«Per fare la segretaria
«So rispondere al telefono, tanto per cominciare» replicò seccata.
Scossi la testa e mi tolsi il cappotto. «Beni culturali, tzé» dissi tra me e me.
«Che problema hai?» mi chiese rialzando gli occhi dal libro.
«Io nessuno. Il tuo CV forse… »
«Ha parlato il passacarte laureato in Scienze Politiche.»
«Almeno io un lavoro ce l’ho.»

Irritata, chiuse il libro e si alzò dal divano. Poveretta, quando avevamo deciso di convivere, un lavoro, seppure part-time, lo aveva. Poi l’agenzia aveva chiuso e da un anno non trovava più nulla.
La seguii in cucina. «Dai, non fare così», cercai di rabbonirla.
«Cosa dovrei fare? Ho mandato candidature ovunque e nessuno mi ha risposto; mi sono rotta le palle. Forse dovrei cercare all’estero.»
«Cercare all’estero?» Uno strano timore mi prese come un crampo allo stomaco. «Non credo che all’estero sia tanto diverso.»
«Che ne sai tu?»
«Beh, faccio l’HR» risposi tronfio.
«E non mi hai mai dato nemmeno una mano.»
«Ti ho fatto il curriculum e poi l’ho anche dato alle interinali.»
«Alle interinali!» sbottò. Si voltò dandomi le spalle e la sentii singhiozzare.
«Mi sento sola e impotente» mi disse, «forse ho sbagliato tutto.»
La abbracciai, «Tranquilla» le dissi, «ti capisco bene. È il mercato a essere così.»
«Così?»
«Spietato.» Senza accorgermi schioccai le dita della mano destra mentre lo dicevo. Un riflesso ma, dio mio; quanto amavo farlo!

Matteo Parmigiani

Blam

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