Breve storia del mio silenzio di Giuseppe Lupo: un itinerario sentimentale alla scoperta della parola. Recensione

 Breve storia del mio silenzio di Giuseppe Lupo: un itinerario sentimentale alla scoperta della parola. Recensione

Dopo aver vinto il Premio Viareggio con Gli anni del nostro incanto, Giuseppe Lupo è tornato in libreria con Breve storia del mio silenzio: una memoria privata e intima, che racconta un percorso di formazione alla scoperta delle proprie parole.  Il libro è presente nella dozzina dei candidati al Premio Strega 2020.

Breve storia del mio silenzio: la trama del libro di Giuseppe Lupo

 Giuseppe ha quattro anni quando gli viene annunciata la notizia: c’è una sorellina in arrivo. Da quel momento tutto cambia: il mondo come l’ha conosciuto inizia ad avere nuovi contorni, la terra sembra tremare sotto i piedi e, improvvisamente, il silenzio diventa una compagnia costante e invadente.

Quel giorno […] le parole si fanno nemiche e io inizio a provare il loro male, che è una specie di voragine di cui non si vede il fondo. La storia del mio silenzio incomincia così.

È difficile per Giuseppe dare un nome a quello che sta accadendo. È come se improvvisamente le parole si bloccassero in gola, come se ci fosse una ruggine da scrostare. E allora inizia a sfogliare dizionari, incalzato dalla madre; va alla ricerca delle parole che sente proprie e che potrebbero comporre una sorta di lessico famigliare – dissenso, onnipotenza, cittadella, Alburni. In quell’alfabeto di carta sembra trovare un antidoto al silenzio, un modo per salvare la propria memoria:

in quel tenersi di ogni lettera mano nella mano, una attaccata all’altra come una musica senza intoppi, c’era il segreto con cui vincer la paura di ricadere nel silenzio.

Si delinea così una storia d’amore e di salvezza: quella che lega Giuseppe alla letteratura, a un mondo fatto di carta scritta, alla magia che può scaturire da una Parker 351. E quando parte per Milano, alla volta dell’università, sa già che la tentazione del silenzio potrebbe tornare a diventare ossessiva. Sta attraversando uno spartiacque decisivo: quello che lo separa dall’età adulta, dalla generazione che lo ha preceduto e da un Abruzzo che è rimasto intrappolato nella sua storia passata, nei suoi monti e nelle valli. E allora, nel varcare quella soglia spazio-temporale che lo porta verso la città illuminista, non può fare altro che aggrapparsi alle parole: quelle sussurrate nelle sere buie, raccolte per strada e lette nei libri in valigia. Questo mondo tutto nuovo sembra fare meno paura, se a guidare Giuseppe c’è la voce di Sinisgalli: è come se si dischiudesse un itinerario sentimentale dove non c’è nient’altro da fare che ripercorrere le orme di chi ha vissuto prima di noi o di chi ha soltanto immaginato di viverci:

Stavo per andare dove sarebbe voluto andare lui […] Non cercavo altro se non di intuire dove avrebbe messo i piedi e sulle orme che potevano essere le sue io poggiavo i miei. Ripercorrevo passo dopo passo le linee di quella magnifica architettura ella mente che è la fede nelle cose invisibili, divise da una questione di tempo, eppure tangibili nel loro appartenere ai desideri di cui si nutre la memoria. Paolo di Tarso la chiama “sostanza di cose sperate” e tali erano per me, quel giorno, i passi di mio padre. Il suo testamento anticipato, il dizionario della mia maturità.

Una scrittura sentimentale

Giuseppe Lupo costruisce un racconto biografico e intimista dal sapore novecentesco. La sua scrittura ha la grazia e l’incanto di un bambino che compie i primi passi alla scoperta del mondo; racconta con voce soffusa e delicata, indugiando in quell’alfabeto sentimentale che compone e costruisce le vite di ciascuno. E questo alfabeto non ha bisogno di grandi eventi, ma si nutre di interstizi, di quei tocchi e rimbalzi che annunciano la nascita di un bambino o un piatto di pasta fumante sulla tavola.

Se è vero che la vita dell’essere umano talvolta attraversa dei momenti in cui la normalità è minacciata e si affaccia la vertigine del vuoto, allora Breve storia del mio silenzio sembra indicare un antidoto. È lo stesso che ciascun lettore ha imparato a scoprire sin dalla prima volta che ha sfogliato un libro: quella magia che racchiudono le parole di carta, capace di raccontare il mondo e renderlo meno spaventoso.

a cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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