Restare bambini significa anche riconoscere che tutto è in continuo mutamento: «Amore plastico» è il racconto di Matilde Iraci

 Restare bambini significa anche riconoscere che tutto è in continuo mutamento: «Amore plastico» è il racconto di Matilde Iraci

Illustrazione di Dario Licata

A volte è ingenuo; un po’ infantile, ma mai irresponsabile. Porta una leggerezza nella mia vita che non avrei mai conosciuto altrimenti. Mi chiede se agli uccelli piace volare. È campione di antropomorfismo, specialmente verso piante e animali. È cresciuto in un paesino di trecento persone su un fiordo sperduto. Faccio sempre la stessa battuta quando lo racconta a qualcuno per la prima volta: beh, adesso sono 299. Ha i capelli color cenere, pieni di boccoli come un putto. Non sapeva cosa fosse, un putto, non è una parola che esiste in altre lingue, e i norvegesi non sono certo esperti di arte barocca cattolica.

Sa tutto di politica. Mi sono innamorata di lui guardandolo discutere animatamente, portare avanti pensieri che chiaramente hanno occupato a lungo una parte della sua mente. Ha letto i libri che doveva leggere per formulare le sue idee, perché lui per primo si faceva le domande che gli pongono adesso. Si mette in dubbio, ma rimane fermo nei suoi principi.

Conosce la Storia molto meglio di me, fa in modo di non concentrarsi solo sulla Storia europea, ma di inserire ogni argomento in un contesto più largo. Di tanto in tanto mi mette in difficoltà chiedendo la mia opinione su argomenti a cui non avevo neanche lontanamente pensato. Sa tutte le bandiere del mondo, anche dei Paesi che non esistono più. Le ha imparate durante la pandemia e ogni tanto ripassa. Non so come gli possa essere utile, ma ne è molto fiero, e sinceramente anche io trovo sia un talento degno di nota.

Ogni volta che qualcuno nomina una molecola, un composto chimico, un medicinale, mi chiede com’è fatta la struttura molecolare. Spesso non ne ho la minima idea, ma lui si mette a elencare gruppi funzionali. Non indovina sempre, ma ci va abbastanza vicino.

«Da piccolo sapevo capire se qualcuno mi stesse guardando o no, senza vederlo in faccia» mi dice. Anche a me capitava, da piccola, quando camminavo in giardino tra casa delle mie cugine e casa mia: mi sentivo osservata, senza sapere se qualcuno mi stesse guardando per davvero. Crescendo l’ho sentito sempre meno.

Forse i bambini riescono a percepire più cose degli adulti. Nelle neuroscienze si parla sempre di plasticità neuronale; per semplificare: la capacità delle nostre cellule cerebrali di creare connessioni quando si imparano nuove competenze. Mi ha sempre incuriosito il picco di connessioni intorno ai due anni e che va a diminuire sempre più ripidamente durante la vita. È normale: potiamo quel che non serve. È il motivo per cui agli stranieri viene così difficile pronunciare il suono «gn»: non è nella loro lingua, non è importante, la capacità di muovere la bocca in quel modo viene tagliata piuttosto che essere rafforzata. Quindi i bambini hanno più sinapsi di noi. Mi piace pensare che spieghi perché era più facile sentirsi osservati da bambini: un sesto senso.

«Pensi di saperlo fare ancora?» gli chiedo. «Certo, ero così bravo che non posso averlo perso completamente.»

«Va bene, chiudi gli occhi, e dimmi se ti sto guardando» giro la testa verso di lui, e lo fisso intensamente. Se lo guardo con abbastanza energia se ne accorgerà per forza. «Ti sto guardando?»

«Uhm… no.»

«Dai, bravo, però è solo un caso, continuiamo.» Sorride. Pensa di aver indovinato, è fiero come un bambino che ha dato la risposta giusta.

Continuo a guardarlo, questa volta ancora più intensamente. «E ora?» Non esita. «No!»

«Ma come fai?» Gongola. Il suo sorriso è ancora più largo di prima. Mi piace vedere le sue reazioni genuine. In realtà sono sempre genuine, perché non è molto bravo a mentire. È il tipo di persona che non ha bisogno di mentire. Piace quasi a tutti, gli piacciono quasi tutti. Fa amicizia con chiunque, è un esperto quando si tratta di far sentire gli sconosciuti interessanti e apprezzati, spesso perché li apprezza per davvero, e li trova interessanti. Non si fida mai dei pregiudizi, cerca sempre il meglio nelle persone.

«Va bene, riprova.» Continuo a guardarlo, a sorridere tra me e me, pensando che alla terza volta dovrà dire di sì e che indovinerà davvero, come minimo per statistica. «Ora?»

«Ancora no!»

«Vabbè, su, stai barando! Non puoi azzeccarle tutte!»

«No, te l’ho detto che sono bravissimo. Quando ci giocavo da piccolo, con mia mamma, non ne sbagliavo nemmeno una.» A volte, è un po’ ingenuo.

Matilde Iraci

Blam

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