“Il tagliapietre”: il ritorno di Cormac McCarthy con un dramma teatrale, inedito in Italia

Scritto alla fine degli anni Ottanta, Il tagliapietre di Cormac McCarthy è un dramma in cinque atti, scritto poco dopo Meridiano di sangue, nel 1994. Da quel momento in poi, l’opera – inedita in Italia e pubblicata da Einaudi per la collana Supercoralli – è stata rappresentata in teatro raramente, forse a causa del significato filosofico e del duplice ruolo del protagonista, Benjamin Telfair detto «Ben», scalpellino nero nella Louisville rurale. Il tagliapietre è un’epopea familiare che racconta le relazioni fallimentari, il bisogno di trovare un proprio posto nel mondo, in conflitto fra tradizione e modernità.
Il tagliapietre di Cormac McCarthy: la trama del libro
Il tagliapietre del titolo è, come detto, il lavoro di Benjamin Telfair, figlio di Big Ben e nipote di Papaw, ultracentenario scalpellino al quale Ben è molto legato. Le quattro generazioni di Telfair che abitano in un casolare di Louisville, Kentucky, sono tutte oggetto delle attenzioni di Ben, deciso più che mai a combattere le ingiustizie del mondo facendo sempre «la cosa giusta» e occupandosi della famiglia affinché tutti abbiano ciò di cui hanno bisogno. Per farlo ha addirittura rinunciato alla carriera da docente e agli studi di Psicologia per portare avanti il lavoro dell’ultracentenario Papaw, ossessionato dal tagliare e posare pietre. Il tagliapietre racconta così i drammi della famiglia Telfair nel giro di tre anni e lo fa con il monologo del protagonista Ben, che racconta quanto succede in scena con un taglio filosofico sul senso del lavoro come fondamenta del mondo.
Il tagliapietre: l’onestà non paga sempre
La numerosa famiglia Telfair, riunita sotto lo stesso tetto, oltre a Papaw e ai Ben padre e figlio, conta tra gli altri: Melissa e Maven, figlia e moglie di Ben; Carlotta e Soldier, madre e figlio ma anche sorella e nipote di Ben; Mama, moglie di Big Ben e madre di Carlotta e Ben. E tutti questi membri sembrano in qualche modo volersi affrancare dal «mestiere», così definito dall’anziano scalpellino come se fosse l’unica occupazione possibile. La vocazione sta venendo meno? La vita che ha fatto Papaw è servita per dire «no, un lavoro così massacrante non lo farò mai»? Big Ben, figlio di Papaw, preferisce lavorare con il cemento, peraltro più redditizio; Maven (incinta del secondo figlio) punta a diventare un avvocato e il giovane Soldier è un piantagrane a cui non interessano né lo studio né il lavoro. Ben, all’opposto, ha scelto di abbandonare gli studi di Psicologia per entrare in un mondo, quello raccontatogli da Papaw, fatto di onestà e correttezza, con l’obiettivo di voler sistemare tutti e fare sempre la cosa giusta. Non sempre però è possibile salvare tutti.
Lo stile di Cormac McCarthy in Il tagliapietre
A caratterizzare il dramma teatrale Il tagliapietre è il doppio ruolo di Ben, protagonista sulla scena e voce narrante. A lui è affidato il compito di raccontare, in chiave filosofica, quanto accade sul palco, seduto su uno sgabello. McCarthy si avvale perciò di due registri, con i dialoghi fatti di poche ma taglienti battute alternati al monologo, più lungo e riflessivo. Ma allora per quale motivo Il tagliapietre non ha avuto la risonanza che questo convincente spaccato dell’America rurale probabilmente meritava? Le cause pare siano diverse: innanzitutto, la scrittura troppo metafisica dell’opera, e il registro dialettale, quello del Sud, nonché i tanti – forse troppi – riferimenti biblici (unico libro che Papaw abbia mai letto veramente); e soprattutto la confusione generata dai due Ben sulla scena. Cionondimeno a questo protagonista spetta la stessa importanza degli altri protagonisti mccarthiani, lo spessore è lo stesso. Sarebbe un bel risultato, anche a quarant’anni di distanza.
A cura di Milo Salso