“La polvere che respiri era una casa”: l’esordio di Eleonora Daniel, caporedattrice di Accento, casa editrice di Alessandro Cattelan

Nel suo esordio letterario, La polvere che respiri era una casa (Bollati Boringhieri, 2025), Eleonora Daniel, caporedattrice e editor per Accento, mette in scena un’architettura di storie unite da registri diversi e raccontati da punti di vista diversi, per non dire opposti. Il risultato è un viaggio nel quale i protagonisti cambiano lentamente ma in maniera inesorabile, così come la casa, lei e tutto ciò che la circonda.
La polvere che respiri era una casa di Eleonora Daniel: la trama del libro
«La nostra storia inizia con una casa, diventa la storia di una casa, finisce ed è la storia di due case. Si trasforma, nel mentre, nella storia di quattro storie e nella storia di un viaggio; in entrambi i casi, però, non esistiamo più noi».
Fin dall’incipit è chiaro un fatto: i due protagonisti non esistono più. Riccardo e Margherita – questi i loro nomi – da innamorati si sposano, comprano e sistemano una casa e decidono di diventare genitori. Sembra la naturale evoluzione delle cose, una storia come tante. Ma Daniel lo ha detto chiaramente all’inizio: «[…] la storia si trasforma e loro, i protagonisti non ci sono più». Per quanto la decisione era stata spontanea e, in un certo senso ovvia e naturale, La polvere che respiri era una casa mette in scena la difficoltà/impossibilità di Margherita ad averne. E qui i due iniziano a divergere, prima solo nell’interiorità, nella sfera emotiva, e poi anche nei comportamenti manifesti. Margherita si chiude in sé stessa, e in lei iniziano a germogliare acredini e rancori, frutto di un’insoddisfazione personale che forse anche l’eventuale nascita di un figlio non avrebbe potuto eliminare. Riccardo, dal canto suo, si rende conto di questo distacco sempre più evidente, ma ne ignora il motivo. E quindi, non senza un pizzico di atarassia, derubrica il tutto a fase passeggera, nulla di cui preoccuparsi.
La creatività come metafora letteraria
Ciò che capita a Margherita, più che a Riccardo, è l’inesorabile sprofondare senza possibilità di salvezza. La polvere del titolo e il riferimento alla casa tanto amata con un verbo al passato dicono molto di cosa succederà a quelle quattro mura, quando lei sembrerà non poter più sopportare il loculo mentale ed emotivo nella quale si è costretta. Sarebbe bastato parlarne? Si dice che le coppie iniziano a non funzionare quando smettono di comunicare. Non lo sappiamo. Quello che Daniel, però, ci racconta sembra confermarlo: dialoghi radi e meccanici, dettati dall’abitudine, incomprensioni che crescono, litigi che non mancano. E la casa, la vera protagonista del romanzo, che da nido d’amore diventa il regno dell’Ade, tra disordine e caos, fino al tragico epilogo (per la casa e per loro). Succede l’irreparabile e tutto cambia per sempre. Margherita sparisce, Riccardo vacilla paurosamente perché incapace di darsi una spiegazione e l’anatema iniziale giunge al suo compimento. Loro non ci sono più.
Lo stile di Eleonora Daniel in La polvere che respiri era una casa
A tenere uniti i due protagonisti di La polvere che respiri era una casa c’è una vecchia idea più di Riccardo, con eterne velleità narrative incompiute, che di Margherita, e ben gestita da Eleonora Daniel: scrivere racconti per il figlio. Quel figlio che non esisterà mai. Ci sono così, per esempio, i due racconti fantastici, Erba e Acqua, che parlano di avidità, di utopia e di una catastrofe imminente. Scritti in maniera diversa, entrambi però danno al romanzo la possibilità di far capire di cosa si sta parlando davvero: si parla di saper – o poter – creare, sul piano umano ma anche su quello letterario e narrativo. È una storia, quella della casa e di Riccardo e Margherita, che si trasforma e che contiene altre storie, ed è raccontata con una scrittura limpida, capace di avvalersi con grande sicurezza di registri e stili diversi (come la scaletta scritta in docx intitolata Pietra), grazie anche a un uso intelligente delle diverse voci narranti. Lei, lui, la casa. E il dramma finale: Fuoco.
A cura di Milo Salso