Un figlio e il suo rapporto complesso col padre: «Visita di cortesia» è il racconto di Pietro Pit Allevi

 Un figlio e il suo rapporto complesso col padre: «Visita di cortesia» è il racconto di Pietro Pit Allevi

Illustrazione di Jacopo Ricci

La solita vecchia storia dell’uomo allungato sulle braci di un letto d’ospedale senza progetti seri di migrazione definitiva, e mi guarda, vecchio stolto, infrangendosi mano a mano, e io sono lì per lui e per nessun altro al mondo se non per quel mucchio d’ossa, e lo contemplo così forte e bellissimo che vien via dagli occhi la camera, l’ospedale, il cielo scavalcato da questo momento di stupore improbabile, così ferocemente ancorato alla terra dove io penso a cosa farei se tutte le rondini del suo profondo volassero da qualche altra parte via da qui, e questa faccia storpia di una morte latente non ci fosse e restasse altrove la possibilità

 

fa niente, non m’importa stare qui a seguire in diretta la radiocronaca della sofferenza, a me sta bene, in fondo se non fossi seduto su questa sedia, ecco, se non fossi qui sarei andato a pedalare madamadorèèè… a farmi il Montecampione in bicicletta, perché, certo, mi brucia addosso questa voglia di pedali  ma da uomo di buon senso l’ho scambiata con la scalata verso l’unico materasso della sua sopravvivenza, dove manca giusto il richiamo alla montagna e la vita non si arrende, e noi siamo qui a sgranarci gli occhi, i miei nei tuoi,vecchio uomo, i tuoi in quelli della signora viva seduta vicino a me, e piange, nascosta, guardala lì, piange eccome senza farsi vedere, santa donna, perché la donna anziana meravigliosamente piangente, io, le montagne tutte, una a una, per te proviamo il fuoco degli innamorati, eh già, anche il ragazzo che oggi sarebbe bello ci fosse e non c’è, stessa cosa, sedotto incondizionatamente da te nonostante ti ostini a restare vivo, figlio malato di una vittoria provvisoria

 

così adesso rilassati, non fare movimenti incompiuti, io non lascerò nulla agli omicidi del caso, farò molta molta attenzione per alzarmi lieve da questo trono senza regno e venirti incontro, cercarti il mento come potrei fare con il più innocuo dei neonati e portare le mie labbra in prossimità delle tue, guarda guarda, l’avresti mai detto, eccole, si alzano le rondini del mio sconforto, allora ne approfitto e comincio con la mano allontanata a piccole dosi dal bacino nello sforzo di raggiungere le coperte del letto, le rondini in volo, vedi se ti dico una bugia, quanto sono strazianti nella loro voluttà aerea, vabbè lascia fare a me, l’altra mano a seguire la prima nei tempi stabiliti dal dolore e da una quiete spumeggiante dove si parla appena, si ridea stento e si vola, et voilà, sono in piedi eretto fino alla sfinimento carnale, tirato in lungo nel mio metro e ottantaquattro centimetri netti, e ti faccio mio dall’alto, tu sollevi gli occhi miopi come se volessi ingurgitare ogni mio gesto di congedo, ti fidi come io mi sono sempre fidato di te, soprattutto in questo momento di trepidazione autunnale dove io sono vivo e tu pure e Margherita viva altroché e Alfredo nostro il più vivo di tutti, lontano morbosamente da qui ma vivo

 

e sto per dirtelo prima del bacio, attenzione la mia bocca in fase di apertura alare, e prima ancora la lingua che prepara le parole al decollo, eccole, arrivano, un bastimento carico carico di inquietudine sommessa rivista e corretta a uso e consumo di una giustificazione facile da trovare, perché voglio fare il Montecampione in bicicletta, così ti saluto, vita mia, e con il linguaggio adulto degli uomini ordinari ti dico di riguardarti e di non sforzarti troppo, stai molto attento a quello che ti dicono il dottore e le infermiere e mi raccomando, per l’amor di dio, mangia tutto anche se gli orari dell’ospedale non sono quelli di casa tua e, che dire d’altro, fammici pensare, niente, stringi il culo e porta pazienza, tutto qui, io vado

in verità fa sorridere

ora sto ritirando la mano dalle coperte e le mie labbra viaggiano in direzione contraria e tornano dove sono sempre state, anticipando tutte le parole che verranno a cercarti d’ora in poi, a cercare te e le genti altre, e sono così contento, papà, di poterti salutare e andarmene, non lo so, è forse una sensazione banale di attaccamento alla vita, come se la tua sopravvivenza portasse con sé un buon pezzo della mia, e allora vado, vado via davvero questa volta, ti lascio nelle mani di mamma, ormai per il Montecampione è tardi, ma prima di uscire sulla soglia della stanza faccio dondolare le mani a mezz’aria e ti dico di non seccarti, Tiziano, ma se fossi morto durante l’operazione io sarei andato a fare il Montecampione, guarda il sole fuori che giornata meravigliosa, e invece mi tocca stare qui e volerti bene da vivo, egocentrico che non sei altro, così tu ridi e ride mamma fino alle lacrime che nel suo caso già c’erano, e forse ride Alfredo lontano da qui, perché abbiamo fatto tutti quello che potevamo fare, e dici: Peccato non essere mancato in tempo, io ti rispondo: Morto, papà, morto in tempo si dice mica mancato, non usare il linguaggio dei burocrati, un uomo di spirito come te, eccheccazzo, Terrò presente per la prossima volta, dici così, me ne sono andato con il ghigno delle persone buone e tutti ridevano, rideva l’uomo disteso sulle braci di un letto d’ospedale e rideva mamma Margherita con le lacrime ai ginocchi, e Alfredo nostro chissà dove in giro nel suo piccolo orgoglio, e dopotutto ora, adesso, in questo momento di religiosa ilarità ho come l’impressione di essere un po’ più vivo di quando sono entrato e.

 

In verità fa sorridere

sono appena salito in macchina

riposo gli occhi

sul sedile accanto al mio i temi d’Italiano della prima C, e adesso, in questo calo d’adrenalina in cui provo a lasciarmi stare e continuare a vivere con nessuno ai bordi, controllatissimo nel respiro, mi suona il telefono, è mamma, la lascio parlare, poche parole, Arrivo le dico, Arrivo subito non piangere, prima di scendere dalla macchina mi investe puntuale feroce lo sciabordio del volo, un overdose di rondini volate appresso nella verticale di un cielo raccolto e affranto in ogni suo scarto di dolore, come se fosse scoppiata l’ira di una bellezza perdutanei secoli, rondini dalla madreterra alle costellazioni future concentrate qui nel cielo di tutti dove ci sto un poco anch’io, piccolo e rannicchiato magari, scomodo e insignificante ma vivo quanto basta per resistere, così prima di scendere dalla macchina Giulia sei anni scrive che da grande vuole fare la dottora e aggiustare i cuori, perché sono solo dei giocattoli rotti, e tutto si può aggiustare dice Giulia sei anni, e comunque una volta operato un cuore aggiustato può pensare a un altro cuore e viceversa, e così prendo la penna nel cruscotto della macchina e scrivo brava, bravissima Giulia, Ottimo! anche se la traccia del tema era la seguente: Racconta una giornata delle tue vacanze estive, e la mia faccia di adesso ride e piange e viceversa, e fuori dal finestrino tutto quello che potevamo fare, rimane. Tutto quello che.

Pietro Pit Allevi

Blam

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