Come si inizia una vita in un posto straniero? «Finestra londinese» è il racconto di Filippo Saguatti

 Come si inizia una vita in un posto straniero? «Finestra londinese» è il racconto di Filippo Saguatti

Illustrazione di Linda Demichelis

Da quando ha fatto buio sono iniziati i fuochi d’artificio. Ieri, 5 di novembre, si è festeggiato il tentativo di far saltare per aria, letteralmente, il parlamento; ma i fuochi continuano anche oggi, forse perché è sabato. Li vede dai vetri della sua stanza: non sono intensi come quelli del suo paese durante le celebrazioni per il nuovo anno, però proseguono per ore in vari punti della sua visuale e si immagina che probabilmente lo stesso stia avvenendo in tutta l’Inghilterra e il Galles.

La padrona di casa, Ms Blacksmith, è gallese. È una donna di mezza età, di bassa statura e in carne, porta gli occhiali. Vive sola in un appartamento con quattro stanze in un condominio; non ci sono tracce di un passato di mariti o figli. Sembra spendere gran parte del suo tempo guardando la televisione o parlando al telefono, e non fa molto per dissimulare un’aria di fastidio, forse disprezzo, nei confronti di uno studente straniero che ospita probabilmente solo per racimolare qualche sterlina in più. Per trovarla, lui ha dovuto faticare molto, dal momento che Ms Blacksmith abita piuttosto lontano dall’ultima fermata della Norwich Line della metro. Ha viaggiato in autobus per un tempo interminabile, sfinito e accaldato, con anziane signore che cercavano di indirizzarlo in un inglese stretto per lui incomprensibile, incuranti del frastuono del motore; una attirava la sua attenzione indicando una piazza, un’altra la interrompeva e sembrava contraddirla, una terza si sovrapponeva mentre altre due ridacchiavano alle sue spalle. Le fermate si susseguivano e niente lo faceva orientare, vedeva solo gente anonima intorno a lui e fuori dai finestrini. Poi, quando è finalmente riuscito a intravedere il nome di una strada e a capire dove si trovava, è sceso e l’aria fredda lo ha fatto sentire meglio. Una signora gentile, scesa alla stessa fermata, lo ha accompagnato per un tratto di strada; quando ha sentito da dove proveniva, ha iniziato a parlare in maniera lenta e comprensibile.

Sono quasi le nove di sera, è affacciato alla finestra; i fuochi continuano ma non gli mettono la minima allegria. Quando è arrivato, ha guardato fuori dai vetri e si è chiesto come si possa vivere qui: una casa attaccata all’altra, a chilometri dal centro. Fa sentire così anonimi; solo una finestra illuminata in un palazzo. Il sottofondo della televisione accesa nel salotto di Ms Blacksmith dà un’atmosfera alla The Wall, ricorda la scena in cui la telecamera indugia intorno a Pinky che fissa lo schermo senza guardarlo, in una sorta di catalessi. Ms Blacksmith è sola davanti al televisore in soggiorno e lui è di là dal muro, nella sua stanza, a scrivere parole non sa bene per chi.

Non rimpiange casa, non stava meglio là. Aveva paura dell’inverno che lo aspettava, delle camminate solitarie osservando le persone che incrociava, del timore che tutto rimanesse com’era. Nothing changes… la canzone gli suona nelle orecchie. È il grande paradosso del tempo, tutto cambia ma resta uguale. Pensa a quanto sono lontani i momenti in cui lei gli sorrideva e lui era immortale, niente poteva fermarlo. Attimi non distanti nel tempo, bensì nella realtà: gli sembra impossibile che possano coesistere momenti come quelli e come questo.

Era l’anno scorso. Lei aveva riso tutto il giorno. A pranzo lo faceva spesso, forse per un senso di cortesia, ma quando era spontanea lo guardava con gli occhi ancora più stretti e il poco spazio concesso alle iridi era di un verde in cui lui si perdeva. Lui aveva portato con sé delle foto scattate qualche mese prima, mentre erano insieme ai compagni. Lei era presente in tutti quegli scatti; in uno in particolare erano solo loro due. Lui la abbracciava come se fossero fidanzati, eppure, riguardando quella foto, vedeva due persone distinte. Alla fine lei si era presa tutte le foto, tutte tranne quella.

La sera ci fu un momento in cui rimasero soli. Lui aveva gli occhi su un libro aperto e fingeva di leggere, lei aveva in mano quella foto e la fissava. Forse sapeva che lui la stava osservando e senza voltarsi gli chiese sorridendo:

«In che punto è la macchia di vino che hai rovesciato sulla foto?».

«Mah… mi sembra lì, proprio sopra la mia testa.»

Lei rise. Poi lo guardò negli occhi, facendosi piano piano seria:

«Posso prendere anche questa?».

Questa sera si sono trovati, Ms Blacksmith e lui, a mangiare su un minuscolo tavolino di fronte alla finestra del soggiorno. Chissà per quale motivo; lei gli ha offerto cibo tipico del suo Paese, roba industriale surgelata, comprata nel vicino discount. Lui, poco loquace anche nella sua lingua, a cercare di inventarsi qualcosa in inglese, mentre pensa che non ama questa città, questa gente e questa cultura. Ma il suo orgoglio lo ha portato qui, il desiderio di allontanarsi per dimostrarle che può prendere la sua strada anche senza di lei.

È di nuovo in camera sua. Dai giardini delle case accanto sono giunti urla e applausi. Si affaccia ai vetri; i fuochi sono finiti.

Da domani inizierà il corso di inglese, e sente che le cose cambieranno.

 

Filippo Saguatti

Blam

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