E se l’introversione fosse una malattia? Noemi De Lisi ci racconta in 10 punti “Vene”, il suo romanzo d’esordio

 E se l’introversione fosse una malattia? Noemi De Lisi ci racconta in 10 punti “Vene”, il suo romanzo d’esordio

Dopo l’esordio nella poesia, con La stanza vuota (Ladolfi, 2017), Noemi De Lisi debutta nella narrativa con Vene (effequ, 2024), romanzo peraltro segnalato dal premio Calvino nel 2020, una storia ambientata nel 2012 a Palermo e che racconta il disagio adolescenziale di questo nuovo millennio. A lei abbiamo chiesto di raccontarci il suo romanzo in dieci punti.

Vene di Noemi De Lisi: la trama del libro

È il 2012 in una Palermo nel pieno della crisi economica. A subirla, fra gli altri, è pure la famiglia di Nico, un ventenne schivo e taciturno, all’opposto del fratello Rosi, il prediletto. È perciò che Nico si mette alla ricerca di una cura alla sua introversione, da lui vissuta come una malattia. Si imbatterà in una setta bizzarra che gli assicura di poterlo guarire con una terapia di conversione. Qui farà pure la conoscenza di Carme, ragazza eccentrica e apparentemente già «guarita». Nascerà tra i due un legame profondo; insieme attraverseranno una città turbolenta e multiforme, tra delinquenti e neofascisti, e finiranno per scoprire molto non solo di sé stessi, ma anche delle proprie famiglie e del senso delle proprie introversioni.

Vene di Noemi De Lisi raccontato da Noemi De Lisi

1 – Malattia

Fin da bambino, Nico crede che il suo carattere introverso, timido sia una malattia genetica. Non so nelle altre parti d’Italia, ma a Palermo, soprattutto a scuola, fra compagni (già dalle elementari) si utilizzava l’insulto «ma si’ malatu?» (ma sei malato?) ogni volta che un gesto o una parola, andavano oltre gli schemi. Mi ricordo che piangere per i maschi era da «malatu», o urlare per le femmine. Cose così. È l’emotività, quindi, che spesso viene tacciata di malattia. Nelle pagine del romanzo, questa malattia si estende e va a definire la persona. Malato: introverso; Sano: estroverso.

2 – Sangue

Nico si sente condannato dalla sua genetica, quindi, dall’ereditarietà del sangue, causa della sua malattia che lo rende diverso. Incontrando l’eccentrico dottor Rizzo e la sua assistente, altrettanto strana, Nico comincerà a indagare proprio tramite i legami di sangue l’origine della malattia dell’introversione. Chi lo ha contagiato? L’immagine del sangue torna spesso per tutto il romanzo, e ogni volta indica un rapporto profondo tra due personaggi, qualcosa che li lega o li spezza. Il sangue cola dal sopracciglio di Nico; il sangue sporca la maglietta di Rosi; il sangue mestruale di Carme scatenato dal sesso. In questa storia, il sangue è un simbolo di catene, di tutto ciò di cui i protagonisti vogliono liberarsi. Le abitudini, la casa, i genitori, qualsiasi futuro già segnato.

3 – Crisi economica

Anche la situazione economica è una fattore ereditato. Nico appartiene a una famiglia proletaria: il padre lavorava come meccanico e la madre faceva la casalinga. Non hanno proprietà, vivono da sempre in affitto in un quartiere popolare. Dopo la crisi economica mondiale del 2008, il padre perde il lavoro, riceve l’esigua indennità di mobilità per qualche anno, e poi manco più quella. A causa della riforma Fornero, si ritrova a stagnare in quel nuovo bacino paradossale creato dal governo, i cosiddetti «esodati». Disoccupati troppo giovani per entrare in pensione (avendo modificato i requisiti, alzando l’età) e troppo vecchi per trovare un nuovo lavoro. Per andare avanti, la madre allora comincia a lavorare nelle case borghesi (la classe meno colpita dalla crisi), cercando di guadagnare sull’unica abilità che la vita l’ha costretta ad affinare: le pulizie. Volevo raccontare una storia che avesse un contesto di povertà e disagio più complesso e molto più comune di quanto si pensi. Negli altri romanzi (quelli che ho letto, quindi è una visione limitata), invece, i contesti comuni sono quelli della famiglia borghese; oppure quelli di miseria, sì, ma ambientati nel passato (dunque lontani da noi) o estremizzati (accattonaggio, abbandono, tossicodipendenza, criminalità). La situazione economica è centrale in questa storia perché non fa solo da contesto: va a deformare i sentimenti dei personaggi, a imporre desideri, sogni e ansie, nella sua contemporaneità.

4 – Palermo

Altro elemento di contesto non meno importante, e che va a scavare i confini identitari dei miei personaggi, è il luogo scelto per l’ambientazione, Palermo. Una cosa che mi ha colpito, quando il romanzo era in lettura presso le case editrici, fu una di queste che rifiutò la storia poiché la descrizione di Palermo lo faceva sembrare un «romanzo distopico». Rimasi perplessa all’inizio, non mi pareva così devastante la descrizione che ho fatto della città. Tuttavia, subito dopo, mi venne da sorridere perché mi accorsi che dipendeva tutto dal punto di vista; quella casa editrice poteva benissimo avere ragione! Ho avuto il privilegio di scrivere di Palermo a Palermo attingendo a tutto il mio immaginario inzuppato e intossicato dalla città.

5 – Letto granchio

È lo strano oggetto ibrido che campeggia sulla copertina del libro. Nato dalla creatività di ADA (Chiara De Marco). Nico ha riempito la sua solitudine di immaginazioni, che sembrano degli esperimenti chirurgici, dei trapianti. In questo modo, gli arredi della casa scoprono la loro dualità. Dunque, lui non dorme in un normale letto, ma in un «letto granchio», che in realtà è una poltrona-letto vecchia e cigolante, mezza arrugginita. Il suo armadio è un «armadio nave», così come il televisore che è un «sedia tv», o ancora il ricordo della defunta e amata nonna che diventa uno «stomaco belva». Per Nico tutto sembra sempre «qualcos’altro», e ha un lato mostruoso da nascondere o esaltare.

6 – Famiglia

Anche la famiglia di Nico ha un lato mostruoso. Ognuno dei personaggi cerca di esorcizzare la propria parte «nascosta e oscura» in vari modi. La madre indossa tailleur logori, perle finte, cerca di parlare in perfetto italiano per fingere di avere un’altra vita, in cui esce per «andare in ufficio», quando in realtà va a lavare i gabinetti delle altre famiglie. Il padre sta tutto il giorno davanti alla tv ossessionandosi con i programmi di Maria De Filippi per dimenticare il suo stato di disoccupato. Il fratello minore, Rosi, si avvicina a un gruppo di neofascisti che sembrano mostrargli un mondo più giusto. Nevrosi, esplosioni di rabbia, violenza, accuse, questo è il contesto familiare in cui Nico cerca di sopravvivere.

7 – Masking

Un meccanismo di sopravvivenza che Nico impara ad attuare grazie alle «prove di estroversione» che dovrà affrontare guidato da Carme, la ex introversa guarita, è proprio il masking. Nico impara a indossare una maschera per nascondere in verso sé, proprio come la sua famiglia. In questo caso, dovrà imparare a fingersi estroverso, più conforme e «normale» ai dettami della società. Ma si sa che mascherarsi è una pratica pericolosa, perché le identità si sovrappongono, la recita si fa sempre più convincente, e alla fine si tende a dimenticare chi c’è sotto la maschera (e magari era proprio questo l’intento).

8 – Osservatore

Oltre alle «prove di estroversione» per cambiare sé stesso, e al contempo, risalire alla fonte genetica di trasmissione della sua malattia, Nico deve scrivere il Rapporto dell’Osservatore. Si tratta di un documento in cui, tramite le innovative tecniche psicologiche del dottor Rizzo, Nico riesce a indagare sulla sua famiglia (e quindi su di sé) in maniera completamente obiettiva. Parlando poco, soprattutto all’inizio del romanzo, Nico si trova a suo agio nel ruolo di osservatore silenzioso. Chi osserva attentamente ciò che lo circonda, può comprendere, intuire, prima degli altri, ma anche controllare. «Tenere tutto sotto controllo», tuttavia, è un concetto fittizio e monco, perché si è davvero liberi quando si comincia a «lasciare andare».

9 – Vendetta

C’è un grande senso di rivalsa e «vendetta» nel romanzo, soprattutto nell’ultima parte. I figli di questa storia, Nico, Rosi, Carme, in modo diverso, si sentono traumatizzati e stritolati dalle aspettative genitoriali. È un problema generazionale. Sono stanchi di sacrificare le parti più vere di loro per ricevere amore e approvazione (perché mai si dovrebbe guadagnare l’amore dei genitori?). All’inizio, Vene cominciava con un breve prologo. Volevo che la storia si aprisse con la voce rabbiosa di Nico. Tuttavia, riflettendo anche con l’editor, ho capito che era un’anticipazione superflua alla storia, e che i sentimenti di Nico, sarebbero venuti fuori man mano, in modo più complesso. Questo è il prologo tagliato dalla stesura finale e mai pubblicato finora:

«Mi chiedete un sacrificio. Tutto quello che amo in cambio del solo vostro amore. Prima però c’è tutto quello che odio, che è tutto quello che sono a causa vostra. C’è la solitudine, che non è stata capita. Non sapete come si muove, s’attacca ai capelli, agli occhi, mi deforma la faccia. E voi come fate a essere normali, se io sono solo? Dovreste solo vergognarvi, ma non basta. Dovreste impazzire, staccarvi a morsi le braccia, farvi a brandelli, decapitarvi, marcire, sparire in liquami, sparire. Invece, continuate a chiamarmi dal fondo della casa, a chiedermi quel sacrificio, e io sto gridando con tutto me stesso per coprire le vostre voci, mamma, papà».

10 – Guarigione

Nico vuole solo una cosa con tutte le sue forze: guarire. Inteso come «cambiare», diventare un altro (nel suo caso, estroverso) e di conseguenza cambiare vita. In realtà, è un obiettivo comune a tutti i personaggi della storia. E come si fa a guarire se la fonte di sofferenza è impalpabile e così difficile da individuare? Quando non è una sola ma è una fonte plurima che si diverte a nascondersi fra sintomi comuni: magari un reflusso gastrico, un mal di testa, oppure quel pensiero strambo, che chissà perché si è fatto ma vabbè starò ancora sognando, chissà, magari è solo stanchezza, però mi scortico il labbro inferiore, mi mangio le unghie fino al sangue, sbatto le palpebre troppo spesso, scuoto la mano senza motivo, mi strappo i peli sulle gambe con la pinzetta uno a uno, faccio incubi. Ci sono tanti sintomi, più o meno evidenti, che ci stanno parlando. Da cosa vogliamo guarire?

 

A cura di Noemi De Lisi e Valeria Zangaro

Valeria Zangaro

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