Evolversi per essere altro, per essere libera: «Corvina» è il racconto di Francesca Saccani

 Evolversi per essere altro, per essere libera: «Corvina» è il racconto di Francesca Saccani

Collage di Ottavia Marchiori

Le sarebbe piaciuto un nido, un utero di legno e piume in cui diventare adulta, ma i pulli umani sono destinati al gelo e all’incuria. La sera si controlla la schiena. Le scapole stanno finalmente sporgendo, protratte già verso il volo. Il suo pesante involucro rosa sarà presto coperto di piume. Già sente nascere sul volto morbide barbule, le immagina trasformate in penne di contorno viola, verdi, buie.

È seduta nell’erba, immobile, a pensare l’impossibile: colori sconosciuti, che solo gli angeli e gli uccelli possono vedere. Quando vedrà un colore nuovo, le ali cominceranno a spuntare.

Succede così nel nido: quando il pullo acquista la vista, impara a volare. Solleva un braccio sottilissimo, prova i movimenti. Diventerà leggera, vuota, luce, potenza.

Donne foca. Donne pesce. Donne serpente. Donna uccello.

Arpia o sirena non è importante, la chiamata che sente a elevarsi oltre quella carne nuda e oscena è una vocazione. Sopporta il proprio corpo come si sopporta una malattia terminale, con distacco e rassegnazione. Prende un cracker, lo osserva da vicino: i cristalli di sale come pietre preziose, la crosta di una fragrante libido atavica, lurca, spietata. Rimette la preda sul tavolo. Lei è più forte. Domina l’impulso. Ha deciso di mettere a tacere la nefanda interferenza conseguente all’essere vivi: il desiderio. Il desiderio nel suo ventre ribolle, esulta, dilaga, riversa amore anche dove l’amore non è desiderato, anche dove ristagna nel dolore.

Guarda il biancore sulle mutandine e sorride. Sente le ossa più cave. Sfila l’indumento e lo lancia nella cesta davanti a sé.

Ora il sangue è inaridito. Tranciato il legame con madre Terra. Soppressa la vita ardente. Rimarrà solo spirito.

Ci sono altre ragazze che le somigliano ma lei non è come loro. Passeggia in giardino e osserva i corpi scheletrici e fragili, i capelli radi su crani bianchi, corazze leggere come esoscheletri d’insetto. Le disprezza.

Si guarda i polsi sottili e si sente invincibile, osserva incantata il nitore delle proprie mani, le venulazioni che si intrecciano sotto la pelle, le ossa affilate delle falangi, le muove davanti a sé come danzatrici perfette e sa di vincere ogni tentazione, proteggere il suo regno, mantenere il potere e non farsi ingannare, né dalle infermiere, né dai dottori.

Sotto il noce in fondo al giardino c’è un corvo. Il becco è così nero che anche le ossa devono essere dello stesso colore ed è certa di aver avuto anche lei un tempo il suo sangue corvino. Il corvo la fissa con l’occhio e lei capisce. Non è possibile guardare un oviparo negli occhi. Uno sguardo a metà permette la fuga. Lo sa bene chi è sempre pronta a fuggire.

Vogliono forzarla a mangiare. Non può interrompere la metamorfosi. Sente già l’aria tra le penne, le ali che tagliano il vento e vi si posano sopra per planare sull’acqua del torrente.

Il dottore non la capisce.

«Anna, mi sente? A volte ci rifugiamo nei sogni, quando la realtà ci fa soffrire, quando c’è troppa confusione.»

«Non è un sogno, il mio.»

«Non è un sogno?»

«No, non lo è.»

«D’accordo, allora di cosa stiamo parlando?»

«Non stiamo parlando di nulla.»

«Lei non mi sta parlando di nulla?»

«Io non le voglio parlare di nulla.»

«Perché non capirei?»

«…»

«Anna, qui dentro siamo solo io e lei e possiamo parlare di tutto, è come una scatola delle meraviglie.»

«Come un sogno?»

«Come un sogno.»

«Allora lo vede che non capisce? Il mio non è un sogno.»

«Cosa non è un sogno.»

«Volare.»

«Volare?»

«Liberarmi di tutto.»

«Mi viene in mente il nirvana, quando parla così.»

«Cioè?»

«Per i buddisti il nirvana è la liberazione da ogni attaccamento, l’elevarsi dell’anima a uno stato di pace assoluta.»

«Sì, volare.»

«La traduzione esatta è “spegnimento”

«Capisco.»

«Spegnimento di ogni desiderio.»

Ha ricominciato a disegnare dei piccoli oggetti. Il primo è stato un nocciolo di pesca. Lo ha annusato, lo ha baciato sentendo la freschezza del vento sulla lingua e lo ha disegnato a margine di un quaderno. Nascosto. Con quegli artigli che ormai sono zampe ruvide di uccello. Anche lei ha dei nascondigli segreti dove accumula tesori: noccioli, ninnoli, caramelle, mezze sigarette da riciclare. Lo fanno i corvi, lo può fare anche lei.

Quella notte è uscita di nascosto per finire uno dei mozziconi. Non è vietato fumare ma vuole farlo da sola. Aspetta il silenzio dell’ora delle streghe e scivola fuori dalla stanza. Esce sulla scala antincendio e scende fino al prato, riparandosi dietro la siepe del vialetto. Solleva lo sguardo al cielo. La vera meraviglia della montagna è la Via Lattea. Dev’essere questa la nostalgia dei marinai. Latte. Quel nutrimento rovesciato sulla tavola del firmamento aveva creato qualcosa di magnifico.

Cerca la costellazione del corvo. Che ironia. Fattosi nero per il dolore di Apollo, aveva fallito la sua missione. Forse era il destino dei corvi, era scritto pure nelle stelle.

«Forse non sono pazza, forse sono solo buddista.»

«C’è un desiderio della nostra anima che va onorato, Anna, e credo che quello della sua sia prezioso.»

«Il mio sogno?»

«La sua arte.»

«La mia arte?»

«Sì, lei è come un uccello, Anna. Si immagina diversa da ciò che è.»

«Vedo le cosa in modo diverso.»

«Io le credo e credo che sia un grande dono.»

«Vorrei essere un uccello.»

«Lo so.»

«Come faccio a rimanere a terra?»

«La terra la fa soffrire?»

«La terra è un inferno

«Lo capisco. Da piccolo mi chiudevo in cantina, quando ero triste.»

«Io mi arrampicavo sugli alberi.»

«Perché lei è un uccello!»

È la prima volta che ride da mesi. La sua voce trilla nella stanza come un campanello. Che bellezza. I corvi non ridono mai.

«Sono attaccata alla sensazione di morte. È l’unica certezza che ho.»

Si siede sull’erba bagnata in riva allo stagno. L’acqua morta si increspa sottilmente a ogni refolo. Lei è il vaso di Pandora, l’oscurità che ingoia, la malattia, la morte, la vecchiaia che permettono l’humus, la vita, il ciclo eterno della rinascita. Naturale, come il muscolo del giaguaro che chiude la mascella sulla preda e non giudica sé stesso. L’oscurità che distrugge e purifica.

Aveva scelto di fermare tutto, di bloccare la vita per avere il controllo ma ora l’ombra prendeva lo stesso il sopravvento. La sua ombra, vorace, irosa, corvina.

L’uccello la fissa al di là dello stagno, sotto il noce.

«Volare è scappare?» sussurra.

«Come ha detto, Anna?»

«Ho pensato che volare è scappare.»

«Scappare da cosa?»

«Dal dolore.»

«Dalla sofferenza?»

«No, da ciò che provoca dolore.»

«…»

«Dall’essere vivi.»

«Anche Buddha lo avrebbe detto.»

Sono settimane che lei e il corvo si danno appuntamento allo stagno. Disegnarlo è incidere sulla realtà, come se quell’energia sottile della metamorfosi fosse infusa nel tratto corvino dell’inchiostro, riprendendosi le piume, le cavità, la vista ultravioletta e riportandole sulla carta come a esorcizzare un incantesimo. Scrive col sangue nero del corvo le sue iniziali nell’angolo destro del foglio e le sembra di ricominciare a respirare dopo una lunga apnea.

«Il corvo fallisce.»

«È questo che fa?»

«Sì, non protegge la ragazza e Apollo lo incenerisce.»

«… dal fallimento del corvo nasce Asclepio, il guaritore.»

Lo fissa nell’occhio. Si stanno ammaestrando. Per la prima volta il corvo stride nella sua direzione. La chiama. Vorrebbe rispondergli che non è dannato per sempre, che grazie al suo errore l’umanità può guarire. Che lei è lui, si riflettono l’uno nell’altra, in un intreccio perfetto di traiettorie e profondità nello spazio tra il piumaggio e l’epidermide, affondando con calore nel nido delle costole.

Sente scendere qualcosa di liquido tra le labbra della vulva. Nutrirà il prato di rosso. Sorride. Sottili radici cremisi si inabissano nel terreno sotto di lei, i suoi capelli fioriscono di rosa e di bianco, le sue unghie diventano rami e poi foglie e si allungano sul prato.

 

Francesca Saccani

Blam

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