Il senso di fine per un secolo già finito: «Il secolo infinito» è il racconto di Winstonhelbert
Il fallimento è sempre un’opzione, la rovina, il baratro, l’inferno in terra, l’apocalisse ritrovata.
Il giorno in cui non potrai far mangiare i tuoi figli, o dargli dieci euro per uscire. Una feritoia, un dardo d’oro, la tua carotide.
Solo progetti brevi, ora per ora. Nessuna aspirazione, figuriamoci una velleità. Colazione, pranzo, cena. Oggi sono vivo l’ho fatto con dignità, al mare si andrà un domani, quale, si scoprirà.
E se non ci sarà un’altra alluvione poi, la siccità, la carestia, la grande migrazione degli gnu su quel che resta del Po, iene a nutrie sui resti dell’Arno.
Se non verranno a strapparci da casa, perché non saremo quelli, non saremo esatti.
Se continuerà la guerra. Se non ci sarà un’altra guerra. Se non ci sarà l’ultima guerra.
Se verrà catturata anche l’ultima favilla di umanità, dell’umanità che ha finalmente assemblato il Dio e gli sta trasferendo la ragione e lo spirito.
Se non ci sarà nemmeno un vecchio Dio a lottare per noi.
Se saremo soli.
Ho il migliore caffè della zona da 65 anni. Il Novecento è stato il «Secolo breve» e questo a me che sto per concludere sembra poter non finire mai.
Winstonhelbert