Raccontare la fame e il vuoto che le gravita intorno: «Fame» è il racconto di Francesca Cannone
Il mio cane, Nelly, era abituata a sotterrare pezzi di pane duro quando non aveva appetito. Squarciava la terra con le zampe anteriori, prendeva una mira approssimativa, lasciava cadere il cibo dalla bocca e poi lo ricopriva di terra con il muso. Si sporcava e io la scoprivo per questo. Anche gli utenti del centro erano abituati a nascondere cibo confezionato nelle tasche interne dei loro bagagli. Per lo più mi capitava di trovare biscotti e snack salati scaduti, ma non raramente, tra t-shirt e mutande sporche, poteva affacciarsi timidamente anche qualche affettato sottovuoto ormai avariato; a quel punto si buttava tutto nell’indifferenziato.
Le persone senza fissa dimora hanno paura di morire di fame, come i cani.
Guido invece della fame ne ha fatto il suo mestiere. Dopo la crisi dell’inflazione ha aperto un centro per digiunatori: Waves of Prana. Mi ha invitata diverse volte, diceva che mi avrebbe fatto un prezzo di favore. Io non vado perché non ci credo che l’aria possa saziare e poi non voglio incontrarti. Adesso ti fai chiamare Shabra e il venerdì vai a Campo dei fiori vestita d’arancione, con un bindi disegnato male sulla fronte, a stonare canzoni di pace. Io non ci credo alle canzoni di pace.
Mi restano ancora otto pacchetti di crackers integrali senza sale. Ogni involucro di plastica contiene sei crackers, 31,3 grammi, che se divisi secondo le linee tratteggiate suggerite diventano 12 quadratini per un totale di 145 kcal. 145 diviso dodici fa 12, 083 periodico. Dodici kcal al giorno. Ho fame.
La statistica mondiale conta in tempo reale 235.086 morti di fame oggi, tra questi il mio vicino rumoroso, Tobia, e Barbara, la parrucchiera. Non era brava con il balayage. Pace all’anima loro. Mi appresto ad apparecchiare: un fazzoletto bianco con al centro il mio biscotto salato asciutto integrale, sottile e croccante. Il poco masticare mi provoca un fastidioso dolore alla mandibola. A fine pasto cerco di recuperare con la lingua i residui molli di cracker incastrati fra i molari e mi vieni in mente tu.
Nel weekend andavamo al centro commerciale per fare la spesa; il tuo sogno sarebbe stato andare da NaturaSì, ma per noi era fuori budget. Arrivate alla Coop inserivamo la moneta da cinquanta centesimi nel carrello e ci accingevamo a ricalcare lo stereotipo della famiglia tradizionale. Il nostro passeggino zincato si riempiva a ogni corsia di prodotti che senza di te io non avrei mai comprato: farro, lenticchie rosse decorticate, latte di avena, farina di Kamut, kefir in fiocchi, crackers integrali. Mentre la cassiera faceva il conto, io già pensavo alla focaccia con la mortadella che avrei mangiato di nascosto nel pomeriggio, prima di andare a lavoro. Avevamo accumulato circa 7.000 kcal sulle 14.000 consigliate dai medici, per un totale di 164,57 euro. «Ne va della nostra salute!»
Poi lasciavamo il nostro finto figlio integrale nella pila dei carrelli, riprendevo frettolosamente i cinquanta centesimi prima che la tua morale fosse mossa dall’intrepida voglia di donarli al senegalese all’angolo, e tornavamo a casa.
Le mie prestazioni cognitive sono compromesse e ho forti spasmi nella regione epigastrica. Ho fame. Nelly, il cane, dorme sempre, o forse è morta? No, sta dormendo. Hanno chiuso il centro d’accoglienza e gli utenti l’hanno occupato. Tre operatori su quattro sono deceduti, il restante non ha più forze per camminare, come me. Come Asia, Ester, Stefano, Marco, Halim e Benedetta. Adesso le persone senza tetto hanno un tetto e si strafogano di biscotti scaduti alla vaniglia. Vorrei un biscotto, ma non quello ai cereali con frutti rossi che compravi tu. Vorrei due dischi di farina 00, lievito, pasta di cacao, olio di palma e amido di mais, tenuti insieme da una crema chiara avvolta da un mistero che non ho intenzione di svelare. Prendo il mio terzultimo pacco di crackers, con in bocca ancora l’acquolina provocata dal miraggio capitalista avuto poco fa. Sono così stanca che ho difficoltà ad aprire l’involucro di plastica. Mi aiuto maldestramente con i denti. Vedo i segmenti salati crollare, come i pezzi di legno in Jenga, sulle mattonelle fredde della cucina. Nelly si muove. Guardo Nelly e lei ricambia lo sguardo. Guardo i crackers. Nelly guarda i crackers. Vedo Nelly agguantare il cibo e non ho la prontezza per fermarla. Le do un calcio con una forza che non pensavo di avere. Lei piange e si nasconde, ha paura di me.
Mi accascio sul pavimento inghiottendo quanti più crackers possibili. Sono così asciutti che non riesco a deglutire. La mia bocca è un deserto croccante. Mi dispiace Nelly! Scusami! Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo. Nelly, scusami.
Anche io ho paura di me. Sarebbe stato meglio se con te avessi portato via anche l’intera confezione di crackers, così forse non avrei avuto una speranza ricca di conservanti a tenermi in vita. Magari così sarei morta anche io… magari fossi morta anch’io!
Le mie prestazioni cognitive sono seriamente compromesse. Ho fame. Mi manchi. Ti odio.
Francesca Cannone
2 Comments
Ciao Francesca, ho appena finito di leggere il tuo racconto, l’ho trovato splendido, severo, senza speranza, doloroso come il morso che Nelly non ha avuto il coraggio di dare. Grazie.
Roberto, ti ringrazio infinitamente
a distanza di mesi le tue parole risuonano in me come una carezza cara;
Un abbraccio da me e Nelly 🙂